La notizia, circolata nei giorni scorsi, è quella secondo cui l’Istituto universitario europeo di Fiesole starebbe valutando la possibilità di individuare un nome “più inclusivo”, meno caratterizzato in senso cristiano, per sostituire quello del Natale.
La motivazione ufficiosa, non urtare la sensibilità degli studiosi di varie culture che esso ospita, ha destato immediatamente un certo scalpore insieme ad una buona dose di sentimenti contrastanti, che vanno dalla preoccupazione all’ilarità. Tanto da imporre un repentino chiarimento e una parziale smentita (ma l’indiscrezione da qualche parte sarà pur venuta fuori) al direttore dello stesso Istituto, considerato per la sua storia e la sua autorevolezza un tempio della cultura accademica europea in Italia. A proposito, specifico di aver utilizzato la definizione “tempio”, in riferimento ad una università, in senso meramente figurato. Non vorrei urtare la sensibilità di qualcuno…
Non faccio fatica a credere che tutta la vicenda sia frutto di un malinteso o, quantomeno, di una comunicazione approssimativa da parte dei vertici dell’Istituto. Perché “escludere” nomi e simboli di una festività religiosa, qualunque essa sia, per renderla più “inclusiva”, qualunque cosa con tale concetto si intenda, significa fare un torto non a quella religione e ai suoi fedeli, ma al principio di laicità, che invece per paradosso iniziative di questo tipo vorrebbero promuovere. Non è più così scontato, purtroppo, ribadire che non si include escludendo, ma conoscendo se stessi, riconoscendo il prossimo, accogliendo e rispettando la sua vita, la sua storia, la sua cultura. Un meccanismo - questo sì - che produce inevitabilmente un arricchimento reciproco.
Sul fronte opposto, tuttavia, alcuni scudi che si sono prontamente levati contro la presunta proposta dell’Istituto contengono in modo altrettanto paradossale, e probabilmente inconsapevole, un elemento concettualmente insidioso per quella identità religiosa che si vorrebbe difendere. Perché insistere esclusivamente sul valore culturale di simboli e tradizioni dell’occidente cristiano produce l’effetto di depotenziare il messaggio universale del Vangelo, privandolo della sua dimensione più significativa, quella spirituale e religiosa. Di solito accade quando queste “difese d’ufficio” provengono dai cosiddetti “atei devoti”, impegnati più a marcare un territorio con prese di posizione strumentali, che non a cercare di tradurre in pratica politica quei valori evangelici ai quali sostengono di ispirarsi.
Due prospettive, quindi, che allo stesso modo ci interrogano, sfidano la nostra consapevolezza e rispetto alle quali ci sarebbe, come sempre, un bel cammino di formazione da compiere. Provvidenzialmente, stiamo per entrare nel tempo di Avvento: chissà che non sia un tempo buono anche per questo, oltre che per augurarci “buon Natale”.
*Presidente diocesano Azione cattolica Lecce