Ieri sera, all’imbrunire, in una Piazza San Pietro deserta (QUI IMMAGINI DIETRO LE QUINTE) è risuonata la voce del Papa, scrosciante e grave proprio come quell’incessante pioggia abbattutasi sulla Città eterna.
Milioni di persone, nel mondo intero, hanno udito le parole del Papa che, commentando il Vangelo della tempesta sedata dal Signore, metteva a nudo le paure e le angosce, i timori e le ansie dell’umanità dinanzi alla pandemia, ma, nello stesso tempo, invitava a rivolgere lo sguardo a Cristo Crocifisso, rivelatosi come l’Unico Salvatore e l’Unico Necessario.
Nel corso del suo accorato intervento, il Santo Padre ha rilevato come l’uomo, pur in grado di realizzare grandi trasformazioni tecnologiche e costruire solidi sistemi economici, si è, all’improvviso, scoperto debole e indifeso. “Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti, colpiti da una tempesta inaspettata e furiosa” ha detto Francesco, non mancando di far notare come tutti siamo immersi in questa tempesta e tutti siamo sulla stessa barca, colpiti da un medesimo e contagioso male. Il Papa ha aggiunto inoltre che al male globale si può rispondere solo globalmente, restando uniti e affrontandolo insieme. Poi ha invitato a cogliere il significato profondo di questo morbo che ci attanaglia: esso costituisce un forte richiamo per tutti noi che credevamo di poter egoisticamente condurre la nostra vita sana, mentre il mondo era malato. Non abbiamo avvertito i vari allarmi risuonati nelle disparità sociali, nei sistemi economici ingiusti, nel grido dei poveri, nelle guerre fratricide, così come nei cambiamenti climatici del mondo contemporaneo. Ora, però, tutto si è fermato dinanzi a un virus letale.
Il Papa ha rimarcato anche i tanti semi di bene che vengono sparsi da uomini e donne silenziosi che, mettendosi a servizio degli altri, continuano a dare la vita e a diffondere la cultura e la civiltà della solidarietà. Francesco ha voluto citare non solo i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, ma anche tutti coloro che continuano a lavorare e a spendersi nelle nostre città sempre più desolate e impaurite, mettendo a rischio la propria vita. Sono questi, uomini e donne semplici e comuni che ci invitano a lottare per diffondere il bene e costituiscono il fondamento della nostra speranza.
Il cuore dell’omelia del Papa è stato però quel grido finale che ha squarciato la pioggia e abbracciato il mondo intero: “Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura, ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però tu Signore non lasciarci in balia della tempesta”.
Prima il Papa ha voluto ricordare la potenza salvatrice del Signore, Crocifisso e Risorto, ed ha richiamato tutti a ricentrare la propria rotta sul Vangelo di Gesù, perché solo in Lui trovano certezze le aspirazioni dei cuori e vengono adempiute le promesse di salvezza e di pace. Solo nella croce di Cristo – ha detto il Papa - è possibile rinfocolare la speranza ed evitare ogni smarrimento, perché la Croce è portatrice di salvezza e nella Croce ogni dolore e angoscia si apre al mistero della rinascita e della risurrezione.
Il Papa ha poi concluso richiamando tutti noi a fare quanto indicato dall’Apostolo Pietro: “Gettiamo in Lui ogni preoccupazione perché Lui ha cura di noi”.
Al termine dell’omelia è calato il silenzio. Il Papa ha pregato dinanzi all’icona di Maria e al Crocifisso. Poi ha adorato il Signore solennemente esposto e ha impartito la benedizione Urbi et Orbi con il Santissimo Sacramento.
La pioggia ha continuato a scendere imperterrita sulla piazza, ma sembrava non aver più il sapore della furibonda tempesta, bensì la soavità di una salvifica e purificatrice benedizione. Che così sia!