È sempre impresa difficile chiedere a chi vive un momento, quale sia il senso di ciò che sta vivendo. Siamo troppo immersi nell’oggi, forse anche poco pensanti, comunque distratti da tanti messaggi (veri o falsi, solidali o carichi di odio che siano).
Per quanto sappiamo che le risposte più sagge verranno dopo, quando il tutto sarà completamente passato, nessuno può negare che abbiamo anche bisogno di risposte, qui e ora. Altrimenti ci sfugge il senso del tempo. E per ritrovarlo può aiutarci Aurelio Agostino: il tempo è memoria del passato, attenzione al presente, attesa del futuro (Confessioni).
La memoria del passato, che oggi si impone, è soprattutto la memoria fisica: ci manca la presenza fisica, soprattutto dei cari che sono mancati per il virus (spesso senza poterli salutare); ci mancano baci e abbracci con amici e parenti; ci mancano i luoghi di incontro, dalla scuola all’università, dalle parrocchie al volontariato, dalla cena allo sport di gruppo, dal cinema al teatro, ai concerti. La memoria del passato, ora come mai, è fortemente emotiva, è visibilmente corporea. “Il corpo - scrive William Davies- è diventato una delle principali aree di scontro degli esperti e delle loro prospettive morali, emotive e politiche”. Come dargli torto se il virus attacca il corpo, toglie il respiro, amplifica paure? Come dargli torto se la maggior parte delle lotte politiche odierne sono per il cibo, la salute, il lavoro, il benessere? La memoria di questo periodo si candida ad essere in primis corporea, emotiva. Sarà anche intellettuale, ma con molta fatica.
Ma il tempo è anche attenzione al presente, scrive Agostino. Il termine usato, in latino, è contuitus, ovvero visione, attenzione, sguardo. Il ‘con’ iniziale, secondo alcuni studiosi, fa pensare al tenere insieme diversi elementi dell’atto dell’intuire. In un mondo complesso non mancano certamente i tanti elementi da tenere insieme, anzi sono fin troppi.
Non a caso siamo facilmente distratti; non a caso mancano visioni sintetiche; non a caso chi ha ruoli educativi e culturali si perde spesso in analisi di analisi, mancando di sintesi. Per non parlare della classe politica, di maggioranza come di opposizione, che è spesso ostaggio del consenso, elettorale e mediatico, e, quindi, con visioni corte e a tempo oppure senza visioni, e solo interessi e potere. Questa attenzione oggi si presenta con un mito deleterio: poter essere attenti a tutto e a tutti, sapere molto, quasi tutto e così via. Chi studia la memoria ci ricorda quanto essa è selettiva: ama custodire o scartare, per emozioni o reazioni chimiche non sappiamo ancora bene. Ma lo fa. E noi dovremmo aiutarla a fare meglio. Attenzione al presente, quindi, vuol dire anche selezione di chi e cosa devo vedere, imparare, incontrare, custodire, amare.
Il tempo è attesa del futuro, non di un futuro che ha fretta di accadere, ma che accadrà nei suoi tempi e modi. Forse Agostino non avrebbe mai potuto fare il giornalista perché oggi la fretta mediatica di anticipare il futuro, le sue fasi e il suo manifestarsi, toglie il tempo dell’attesa. Toglie anche la fatica dell’attesa che è costruzione del futuro. Impariamo - senza retorica - dalla terra e dalla sua attesa di tempi e stagioni. Non nego la validità scientifica di tutto ciò che è previsione, ma dico semplicemente che, tra la previsione e la realtà che verrà, c’è sempre e comunque il costruire oggi, con pazienza.
Nel presentare la sua visione del tempo Agostino si serve di un esempio illuminante: il cantare. “Accingendomi a cantare una canzone che mi è nota, prima dell’inizio la mia attesa si protende verso l’intera canzone; dopo l’inizio, con i brani che vado consegnando al passato si tende anche la mia memoria”. Il cantare ci aiuta a capire cosa significano memoria, attenzione e attesa.
“L’energia vitale dell’azione - scrive ancora nelle Confessioni - è distesa verso la memoria, per ciò che dissi, e verso l’attesa, per ciò che dirò: presente è però la mia attenzione, per la quale il futuro si traduce in passato”. Non è questa una bella frase da postare su Facebook è quello che facciamo normalmente, non solo per cantare, ma anche per vivere: ricordare, fare attenzione e attendere. E la musica, il canto non esistono senza la pausa; come la vita di ognuno non procede senza silenzi fecondi e attivi.
La crisi sanitaria ci impone un piccolo-grande lavoro di riequilibrio tra emozioni, pensieri e paure, così come ci impone di stare attenti… alla musica che cantiamo; alla sua qualità e al bene che irradia, ai silenzi che le danno forza e senso.
È l’esortazione di William Shakespeare, nel suo Il mercante di Venezia:
“L’uomo che non ha musica in sé stesso
e non è mosso dall’armonia dei dolci suoni
è buono per tradire, tramare e depredare;
i moti del suo animo sono cupi come la notte,
e i suoi affetti neri come l’Erebo.
Un uomo così non riceva mai fiducia. Ascolta la musica (Mark the music)”.
*Docente di filosofia politica – Pontificia Università Gregoriana (Roma)