In quella che egli stesso ha definito una festa "strana", risuonano quest'anno con ancor più forza le parole del Messaggio che l’arcivescovo di Lecce per tradizione rivolge alla città e all'intera diocesi.
Un messaggio che ha il suo filo conduttore nel tema della speranza e, mi pare in maniera ancor più evidente, in quello della corresponsabilità in una fase che è ancora di emergenza e, al tempo stesso, di prospettiva per una piena ripartenza.
La metafora della barca, utilizzata da Papa Francesco in "quella notte di pioggia incessante in una Piazza San Pietro vuota ma illuminata dallo splendore dell’eucarestia", diventa per mons. Seccia la chiave di lettura utile in primo luogo a richiamare tutti quanti - ma con una speciale, paterna, attenzione i giovani - a vivere anche il divertimento senza diventare pericolo per se stessi e per gli altri.
Sulla stessa barca sono, però, anche gli adulti, laici e consacrati, chiamati ad educare i ragazzi “alla libertà e alla corresponsabilità”. Qui si fa esplicito il richiamo alla necessità per la Chiesa, per la nostra Chiesa di Lecce, di cogliere i segni dei tempi per tornare all'essenziale che è la vita buona del Vangelo. Quella che preti e laici, esercitando ciascuno la propria parte di responsabilità, sono chiamati ad annunciare al mondo, con lo stesso coraggio che fu di Sant'Oronzo.
Sulla nostra stessa barca, ancora, sono tutti coloro che hanno responsabilità politiche. E nell'affermare a chiare lettere che chi scappa dalle guerre e dalle povertà è nostro fratello e come tale deve essere accolto, mons. Seccia non esita a definire profeta di sventura chi soffia sulla paura del contagio per alimentare divisioni, ricordando ad ogni cristiano che è invece il comandamento dell’amore "l’arma vincente di chi vuole diventare profeta di speranza".
Proprio da qui dunque, dalla corresponsabilità e dalla speranza, sul modello e con l'intercessione dei nostri santi patroni, riprende il cammino della Chiesa di Lecce.
*presidente diocesano di Ac