In occasione delle feste natalizie, l’arcivescovo Michele Seccia ha fatto giungere ad ogni sacerdote della diocesi di Lecce un messaggio augurale. Ve ne proponiamo il testo integrale.
Mi è gradito porgervi, cari fratelli presbiteri, i miei più sinceri e cari auguri di Natale, invitandovi a rileggere con me il “segno delle fasce” del Natale offerto ai pastori nella notte di Betlemme. Desidero, infatti, condividere con voi, una breve riflessione, frutto della mia personale preghiera.
“Questo è il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (Lc 2,12)”.
Il segno, come sappiamo, è offerto ai pastori che custodivano il gregge nella notte ed è costituito da tre elementi: un Bambino, le fasce, la mangiatoia.
Luca, proseguendo la sua narrazione, al v. 16 dice che i pastori, recatisi alla grotta, trovarono Maria, Giuseppe e il Bambino deposto nella mangiatoia: il segno delle fasce è sostituito da Maria e Giuseppe, i quali costituiscono le vere fasce di Gesù, in quanto sono coloro che si prendono cura del Bambino appena nato. Dall’antico Testamento si evince che un bimbo avvolto in fasce fin dalla nascita è una creatura custodita con tenero affetto da persone intime, prima fra tutte la mamma. Esclama l’autore del libro della Sapienza: «Anch’io appena nato... fui allevato in fasce e circondato di cure» (Sap 7,4).
Le fasce, allora, richiamano la cura con cui Maria e Giuseppe rivestono il Signore Gesù e ci invitano a custodire Lui nella nostra vita e nella nostra Chiesa, offrendo la nostra vita a tutte le membra del Corpo di Cristo, non trascurando la sua presenza viva e autentica nella nostra esistenza. Grazie, caro fratello, per come ami il gregge a te affidato!
Le fasce indicano ancora la condizione di umana debolezza assunta dal Verbo. Infatti, al v.9, Luca scrive che i pastori furono visitati dall’angelo e che “la gloria del Signore li avvolse di luce”: i pastori, dunque, sono chiamati a riconoscere in quel Bimbo avvolto in fasce, la luce della gloria del Signore che tutto avvolge: Cristo è la nostra luce. Quella gloria del Verbo nel Bimbo di Betlemme è celata dalla sua piccola e fragile umanità.
Questo pensiero mi spinge in questo Natale a interrogarmi sulla chiamata a prenderci cura l’uno della vocazione dell’altro. La chiamata di Dio è infatti un grande dono, ma è soggetto alla debolezza e alla fragilità, tipica della nostra condizione di uomini.
Oggi, il Signore ci chiama a vivere il Sinodo. Questa è l’occasione per superare le nostre indecisioni, incomprensioni e difficoltà, custodendoci nel reciproco amore, che si fa accoglienza, ascolto, dedizione, cura.
Il segno delle fasce richiama poi alcuni aspetti che hanno un accento sponsale ed eucaristico. Per noi sacerdoti, la dimensione eucaristica è essenziale, come sempre vi ricordo, perché è l’Eucaristia che realizza la vera comunione di “un solo corpo e un solo spirito”.
Tutto questo è risuonato oggi nel mio cuore e così ho potuto cogliere un aspetto del “segno” dato ai pastori per credere.
Lo sappiamo bene: credere non è un privilegio che ci dispensi dalla comune fatica del camminare insieme come presbiterio. Il volto del Verbo fatto carne va ricercato nel quotidiano, intessuto di gioia e di pena, di luce e di tenebra. Questo è il mondo, questa è la cronaca assunta dal Verbo di Dio. Di tal genere sono ancora oggi le “fasce” di cui egli si cinge, per essere l’Emmanuele, il Dio con noi.
Augurando un Santo Natale, vi chiedo di pregare per me e vi assicuro la mia vicinanza e preghiera.
*arcivescovo di Lecce