0
0
0
s2sdefault

“Non finiremo mai di indagare l’abisso di questo mistero. È tutta l’asprezza di questo paradosso che emerge nel grido di dolore, apparentemente disperato, che Gesù leva sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34)”.

 

 

 

“È possibile immaginare uno strazio più grande, un’oscurità più densa? In realtà, il grido angoscioso perché rivolto al Padre con le parole iniziali del salmo 22, pur conservando tutto il realismo di un indicibile dolore, si illumina con il senso dell’intera preghiera, in cui il salmista unisce insieme, in un intreccio toccante di sentimenti, la sofferenza e la confidenza: “In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati (…). Da me non stare lontano, poiché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta” (Sal 22, 5.12).

Sono alcune delle espressioni dell’omelia (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) che l’arcivescovo Michele Seccia, ha pronunciato ieri sera in cattedrale dopo l’ascolto della Passione secondo Giovanni. Alla solenne ma mesta liturgia hanno partecipatoHanno partecipato  i canonici mons. Antonio Montinaro, mons. Mauro Carlino, don Biagio Miranda e don Vincenzo Caretto, con loro anche mons. Nicola Macculi e don Vito Caputo, parroco della cattedrale;  i diaconi Carlo Manzo e Mario Renna. Presenti anche i cavalieri e le dame dell'Ordine del Santo Sepolcro.

“Ripetiamo spesso la parola ‘mistero’ - ha aggiunto Seccia -, perché si tratta di qualcosa d’inspiegabile, qualcosa di vero che noi vorremmo cercare di capire, ma che non riusciamo a comprendere. Non è forse quello che noi sperimentiamo ogni volta che, commettendo il peccato, ci rendiamo conto che non avremmo voluto commetterlo? Ci rendiamo conto che quello che abbiamo fatto va al di là di ciò che noi volevamo e che ci eravamo riproposti di fare? La cattiveria, l’indifferenza, la superficialità emergono dalla nostra vita e dalle nostre azioni molto più frequentemente di quanto noi vorremmo. A volte non sappiamo nemmeno spiegarci il perché. È il mistero dell’iniquità che si affaccia, che viene fuori e che è incomprensibile, eppure è vero, è reale. Tuttavia, accanto a tutto questo male, ecco la certezza della misericordia, il mistero della Redenzione: il peccato è perdonato! Il male è sconfitto!”.

“Di qui - ha proseguito - trae origine una spinta per noi peccatori ad andare oltre il peccato, a non lasciarci schiacciare dal male, perché Cristo ha vinto e ci ha liberati e ci ha offerto la possibilità di essere ancora liberi da questa schiavitù, a condizione che ci affidiamo a Lui. Dobbiamo affidarci a Lui con tutta la nostra umanità, con quella umiltà che ci fa riconoscere chi siamo realmente: figli di Adamo ed Eva, ma anche riscattati a caro prezzo dal Sangue di Cristo effuso, sparso dalla croce. Ecco perché volgiamo il nostro sguardo a Gesù Crocifisso”.

“Dobbiamo - ha continuato l’arcivescovo - sostare in silenzio, perché molto poco riescono ad esprimere le nostre parole. È ben diversa, ben più grande, ben più alta e profonda la realtà che Dio ci invita a vivere. Ben più profonda è l’esperienza che ci deve toccare in questo momento in cui, privi del Cristo perché morto, noi sappiamo che Egli è più vivo che mai. Lo sappiamo proprio guardando la croce, lo sappiamo non solo immedesimandoci nella sua sofferenza, nella sua angoscia, quanto soprattutto partendo da quell’angoscia che noi provochiamo ancora a Dio, commettendo quel male che ci fa perdere il volto dei figli, commettendo quei peccati che ci fanno mettere da parte, se non sotto i piedi, la nostra dignità. La celebrazione del mistero della Passione di Cristo è per noi, allora, motivo di una nuova speranza”.

“Sì, carissimi fratelli e sorelle, dobbiamo sperare - ha spiegato -, perché il Signore è morto per noi. Dobbiamo sperare, perché le porte del Paradiso si sono riaperte. Dobbiamo sperare, perché il Cristo viene a prenderci per mano per ricondurci alla gioia, alla gioia della Famiglia di Dio, alla gioia della Chiesa. È Lui che è risorto e ci dice: ‘Il peccato è sconfitto’. Anche per te, fratello, sorella, c’è la vita nuova. Questa vita inizia nel momento in cui tu scendi nel sepolcro della tua vita, per riscattarti da tutti i peccati e per affidarti alla misericordia del Padre”.

“Lasciamoci accompagnare da Maria - così ha concluso l’omelia Seccia -. Chiediamo a Lei un po’ della sua fede. Chiediamo a Lei un po’ del suo amore, della sua capacità di continuare a vedere, nonostante il dolore, il completarsi della volontà del Padre e lo spiegarsi dell’azione dello Spirito, perché Dio è venuto a visitare il suo popolo e a rivelare la sua misericordia”.

 

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

 

 

Forum Famiglie Puglia