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“Chi spera in Dio non resta deluso. La forza della speranza”. È la seconda Lettera pastorale dell’arcivescovo Michele Seccia alla Chiesa di Lecce.

 

 

Il pastore l’ha consegnata ieri sera alla comunità diocesana, per il tramite dei sacerdoti presenti alla concelebrazione solenne nell’anniversario della Dedicazione della cattedrale di Lecce.

Scritta in modo semplice ed essenziale, si può leggere tutta in un fiato, avendo il pregio di essere breve ed efficace. Il lettore ha così la sensazione che il vescovo intenda parlare al suo cuore, entrando in punta di piedi nella sua vita per offrirgli gioia e speranza.

La LETTERA consta di tre capitoli e prende spunto dall’analisi della situazione attuale: il tempo della pandemia ha innescato un clima di paura e di terrore, che porta i singoli individui e persino intere comunità a chiudersi in sé stessi, vivendo la sofferenza del lutto, della crisi economica e della disperazione. Dinanzi a tale situazione, il vescovo, alla luce del vangelo, invita a mettere in circolazione l’eccellente medicinale della speranza cristiana, la quale differisce da un ingenuo ottimismo, e si qualifica per essere fondata e radicata in Dio, le cui promesse sono sicure e la cui Parola genera vita in abbondanza. Infatti, se la pandemia ha fatto riscoprire all’uomo la propria fragilità e se un virus invisibile ha sconquassato il mondo intero, mettendo in ginocchio il progresso scientifico che aveva profetizzato un impossibile ritorno alle sciagure calamitose del passato, la comunità ecclesiale è invitata a richiamare come la speranza degli uomini non può essere risposta nell’uomo, bensì unicamente in Dio. Compito specifico dell’impegno civile dei cristiani sarà dunque quello di alimentare la speranza cristiana, offrendo un’autentica testimonianza che ha come duplice sorgente la Parola di Dio e il Sacramento dell’Eucaristia.

Il primo capitolo della Lettera pastorale è dunque incentrato sulla Parola di speranza e di salvezza che il Signore offre al mondo. Soprattutto nei momenti di sofferenza e dolore, la Parola di Dio diviene àncora di conforto e strumento di grazia: pertanto va annunciata non perdendo mai di vista questa sua dimensione, tanto essenziale per l’uomo di oggi. L’icona che il vescovo presenta è quella dei discepoli di Emmaus, i quali vengono accompagnati dal divino viandante lungo la via. Essi vivono una situazione di disperazione e, presi dallo sconforto, abbandonano Gerusalemme e lasciano la comunità degli apostoli: come è attuale questa situazione di abbandono della Chiesa! Il Signore, però, va dietro queste due pecorelle smarrite e desidera ascoltare il loro grido di angoscia e dolore. Egli sente il loro sfogo, avverte l’amarezza presente nel loro animo, e, dopo aver toccato con mano le loro ferite, interviene rimproverando la durezza del cuore e versandovi il balsamo dell’amore. Infatti, i discepoli lo ascoltano con gioia e diletto, si sentono riaccendere il cuore, vivono il gaudio della consolazione interiore. La Parola del Signore Gesù, ricolma di Spirito di vita, conduce i discepoli a interrompere il cammino di allontanamento e a sostare con quel divino viandante, il quale, entrando in casa, si siede a mensa e “spezza il pane”, celebrando così la festa del ritorno dei discepoli e unendosi intimamente a loro, nella donazione di sé.

L’arcivescovo, nel descrivere le varie tappe della vicinanza di Cristo alla vita di ogni discepolo, ricorda non solo che lo stile di ogni annuncio cristiano deve modellarsi sul Vangelo, ma sottolinea come l’annunciatore di Cristo, per essere credibile, deve Lui stesso sperimentare per primo la ricchezza della Parola annunciata, attraverso l’orazione, alimentata e suscitata dalla Parola. Solo in questo modo, l’annuncio diviene credibile e la testimonianza produce i suoi frutti. Dall’annuncio fondamentale dell’amore di Dio rivelato in Cristo Gesù per ogni creatura, il Vescovo passa ad esaminare la catechesi offerta nelle Parrocchie e ne delinea alcuni elementi essenziali. Innanzitutto, afferma che la catechesi deve avere un costante riferimento alla Parola e all’annuncio fondamentale, per poi approfondire il mistero della salvezza, non solo attraverso l’insegnamento, ma anche mediante percorsi ed esperienze di comunità mirate alle diverse fasce di età. Infine, il primo Capitolo si conclude rammentando l’importanza della famiglia cristiana, chiamata ad essere prima cellula dove si vive il Vangelo.

Nel secondo capitolo, mons. Seccia, partendo dalla grave situazione della pandemia che ha costretto tanta gente a non poter partecipare all’Eucaristia, ha sottolineato come questa carenza abbia indotto tanti cristiani a riscoprire l’essenzialità dell’Eucaristia. Infatti, la santa messa, lungi dall’essere solamente un rito, è celebrazione viva del mistero della Pasqua, realizza la comunione tra di noi ed è fonte di speranza per l’intera umanità, in quanto il banchetto della terra è pregustazione del banchetto del cielo. Il Vescovo evidenzia la “forza sociale” dell’Eucaristia, che, realizzando la comunione con Dio e tra gli uomini, apre necessariamente alla solidarietà. Se lo stile cristiano è eucaristico, allora sarà certamente solidale!

In questo secondo capitolo, mons. Seccia insiste anche sulla forza spirituale dell’adorazione eucaristica ed invita i parroci e i sacerdoti a promuoverla efficacemente, non solo tra gli adulti, ma anche tra i giovani. Infatti adorare il Signore nel sacramento rafforza la fede, riaccende la speranza e rianima la carità.

Infine, nel terzo capitolo l’arcivescovo ha voluto offrire a tutti gli operatori pastorali delle concrete indicazioni per “ripartire” alla luce dell’ascolto di ciò che il Signore ci sta dicendo in questo tempo di disagio. Mons. Seccia ha pertanto affermato come tutti gli ambiti della pastorale debbano essere ricondotti al criterio dell’essenzialità, la quale si radica nello stile di accoglienza, sobrietà e profondità che deve caratterizzare la prassi pastorale. L’azione evangelizzatrice è chiamata ad avere sempre un’anima spirituale e a non arrendersi dinanzi alle difficoltà, richiamando la virtù della speranza, la quale ci ricorda che “il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa” (Mc 4,26-32).

 

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