Avvicinandosi il giorno del 70° compleanno (il 6 giugno) dell’arcivescovo Michele Seccia che la Chiesa di Lecce festeggerà in tre diversi momenti (GUARDA SOTTO), Portalecce ha pensato di raccogliere frammenti della sua vita attraverso i racconti e i ricordi di chi lo ha conosciuto da vicino. Brevi istantanee che ripercorrono la vita di un ragazzo, di un sacerdote, di un vescovo che ancora oggi continua a scrivere pagine di vita evangelica.
La prima volta che vidi mons. Michele Seccia fu l’8 settembre 1997 nel palazzetto dello sport di San Severo, quando ricevette la sua ordinazione episcopale. Mi colpì molto il suo sorriso e l’affetto della gente che lo aveva accompagnato con tanto calore nella nostra diocesi, cioè i tanti fedeli della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, sua diocesi di provenienza.
Qualche giorno dopo telefonai in curia per prendere appuntamento e incontrare il nuovo vescovo e fui colpita dalla cordialità con cui lui stesso mi rispose e per la sua proposta spiazzante di vederci già l’indomani. L’ordinazione era stata così bella da avermi trasmesso una comprensione nuova e più profonda del ministero episcopale, nel senso che quel giorno compresi quanto fosse importante il legame tra il vescovo e la sua diocesi, tra i battezzati e il loro vescovo. Il motto episcopale di don Michele poi mi aveva del tutto conquistata, Adiutor gaudii vestri, «Collaboratore della vostra gioia», un’espressione impiegata dall’apostolo Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (2Cor 1,24) a proposito del ministero apostolico. Essere collaboratore della gioia dei fedeli è la vocazione del vescovo che, in qualità di padre e pastore della comunità, trasmette la fede comunicando la gioia frutto dello Spirito Santo (Gal 5,22) come manifestazione della vita nuova nello Spirito in cui tutti i credenti, in forza del battesimo, sono stati immessi.
Entrai in curia in punta di piedi, con un certo timore reverenziale nei confronti del vescovo, ma fui del tutto vinta dalla sua calda liturgia di accoglienza con la quale mi mise subito a mio agio e che mi fece percepire la sua paternità nei miei confronti. All’epoca don Michele aveva soli 46 anni e aveva già alle spalle l’esperienza di parroco, di docente di teologia morale presso l’istituto di scienze religiose, di insegnante di religione cattolica, filosofia e pedagogia alle superiori, e persino di vicario episcopale negli ultimi 10 anni. Io avevo 20 anni ed ero al secondo anno del baccalaureato in Filosofia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, al terzo anno del mio travaglio vocazionale, e l’incontro con lui mi fece comprendere ancora di più che nessun dono e nessuna vocazione può essere vagliata senza l’accompagnamento sicuro e illuminato della comunità credente, e in modo particolare del vescovo che nella Chiesa locale esercita in modo permanente il carisma del discernimento. Se dovessi definire don Michele, di certo, potrei parlare dell’“uomo del discernimento e della lungimiranza profetica”, caratteristiche che ho riscontrato più volte in questi circa 25 anni di amicizia.
Pur vivendo io a Roma per il mio percorso di studi, filosofico-teologici prima e biblici dopo, dal settembre 1997 all’ottobre 2006 abbiamo camminato insieme a stretto contatto con don Michele che mi accoglieva ogni volta che tornavo in famiglia e mi aiutava a sondare più profondamente, in sinergia con il mio padre spirituale, il mio amore per Cristo e la Chiesa, accompagnandomi nel discernimento della mia chiamata più profonda, accogliendo nel 2001 la mia richiesta di essere consacrata al Signore con il rito di consacrazione delle vergini attraverso le sue mani con somma fiducia (avevo solo 24 anni e questa era, allora come oggi, un’età inconsueta per l’ammissione all’Ordo virginum!) e dispiegando verso di me una cura pastorale e paterna che mi ha sempre incoraggiata nello studio, nell’insegnamento, nel mio servizio multiforme alla Parola del Signore.
Il legame con don Michele ha poi ricevuto un ulteriore consolidamento quando mio fratello Enzo è stato accolto nella sua nuova sede episcopale, la diocesi di Teramo-Atri, prima come seminarista, poi come diacono e infine come presbitero, godendo della bella opportunità di vivere a stretto contatto con lui in qualità di suo segretario e di sperimentare la bellezza di una paternità episcopale capace di “iniziare” un uomo al ministero presbiterale testimoniando una vita di preghiera e alleanza con il Signore e di grande prossimità verso i fedeli, specie i più provati.
Anche ora che il Vescovo, che io amo chiamare “Padre Vescovo”, si trova nell’arcidiocesi di Lecce e abbiamo meno opportunità di vederci, il legame resta forte per la gratitudine che nutro nei suoi riguardi grazie al bene che attraverso di lui il Signore ha fatto scorrere nella mia vita e per il suo sguardo di promozione, sempre benedicente, nei miei confronti, tanto da permettermi di sperimentare ancora di più la presenza di Dio Padre nella mia vita.
*consacrata dell’Ordo virginum della diocesi di San Severo
docente di teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana