Avvicinandosi il giorno del 70° compleanno (il 6 giugno) dell’arcivescovo Michele Seccia che la Chiesa di Lecce festeggerà in tre diversi momenti (GUARDA SOTTO), Portalecce ha pensato di raccogliere frammenti della sua vita attraverso i racconti e i ricordi di chi lo ha conosciuto da vicino. Brevi istantanee che ripercorrono la vita di un ragazzo, di un sacerdote, di un vescovo che ancora oggi continua a scrivere pagine di vita evangelica.
Quanto mi mancano le pacche sulla spalla di Mons. Seccia! Lo chef Cannavacciuolo non ha inventato nulla.
Pensare agli anni trascorsi vicino al “mio vescovo” mi fa rivivere momenti di grande umanità e profonda fede, uniti ad una amicizia vera, indissolubile.
Ripercorriamo questi anni con un po' di cronistoria. Nel 2008 a Teramo nasce la web tv Teramoweb, organo non della diocesi, ma sempre vicina alle attività diocesane. Come direttore responsabile ho avuto da subito contatti con la curia diocesana e con il suo vescovo. Mons. Seccia ha subito capito l’utilità di questi nuovi mezzi di comunicazione e da qui è iniziato un cammino di amicizia, che mi ha portato a conoscere un vescovo vero pastore, un vescovo pieno di umanità.
Spesso lo accompagnavo nei suoi impegni diocesani, documentando con le riprese video la sua continua attività di evangelizzazione. Non si è mai risparmiato. Quante volte la sera, guidando la sua macchina (una panda 4x4), tornando a Teramo, vedevo nel suo volto la stanchezza di una lunga giornata di impegni. Ma, anche se stanco, pensava e si organizzava per il giorno successivo, sempre pronto per la sua comunità.
Dall’esterno, a volte, non si notava questo aiutare e proteggere il suo “gregge”, sacerdoti compresi. Spesso si è preso colpe non sue, senza avere il minimo tentennamento. Ricordo che una volta gli dissi: “Eccellenza, ma non è giusto che lei si prenda tutte queste colpe”. Ed egli mi rispose: “Io sono il pastore!”. Non ebbi più il coraggio di riaprire quel discorso, mi diede una lezione semplice, ma unica.
Se c’è una cosa che non dimenticherò mai di mons. Seccia sono le sue omelie. Quante volte ha cercato di scriverle, di seguire un discorso preparato. Ma non ci riusciva. Iniziava, qualche frase e poi… chiudeva gli occhi. Quello per me era il segnale che non avrebbe più seguito il suo scritto. Ed infatti, come illuminato (anzi sicuramente illuminato) dallo Spirito Santo, riapriva gli occhi e cominciava a parlare a braccio. E diventava una lezione di fede “incontenibile”.
Quando ho saputo del suo trasferimento a Lecce, sono stato felice per lui. Dentro di me, però, è cominciato un pianto di tristezza, di vuoto, di solitudine. Non ci sarebbero più state le nostre belle chiacchierate, i nostri viaggi con la panda (anche in più posti nello stesso giorno), non avrei più ricevuto le sue pacche sulla spalla. Ma è stato giusto così, l’ho sempre saputo.
Anche se ora è lontano parecchi chilometri, don Michele (ogni volta si presentava così ad ogni telefonata che mi faceva) è sempre vicino con il crocifisso che mi ha donato e che sta in bella mostra in casa mia.
Mi fermo qui, altrimenti sarei capace di scrivere più pagine. Tanti auguri, eccellenza. Avrei potuto raccontare altro, ma ho scelto di parlare di noi, della nostra amicizia, dell’affetto fraterno che nutro per lei. Continua a mancarmi “il mio vescovo”, ma è giusto così. E in questo momento immagino la solita pacca a sorpresa quando sono di spalle: “Guagliò!”
Auguri Don Michele