La ripresa inaspettata e forte della diffusione dei contagi da betacoronavirus Sars-Cov-2 dovuta alla sua variante Omicron 5 ci coglie in una stagione, quella estiva, in cui le persone e le famiglie cercano una maggiore libertà di aggregazione, movimento e contatti interpersonali, ed il Sistema sanitario nazionale vede ridotto il numero di medici, infermieri e altri operatori sanitari effettivamente in servizio giornaliero per l’alternanza di lavoro, riposi e ferie.
Il rischio maggiore lo corrono i soggetti esposti al contagio il cui sistema di difesa dall’infezione virale e dalle sue conseguenze patologiche non è ottimale a causa dell’età o di condizioni fisiche debilitanti o risulta addirittura deficitario dalla presenza di malattie pregresse o in corso. Con l’attuale prevalenza delle varianti Omicron, sono quasi sempre queste persone quelle che richiedono una ospedalizzazione in reparti di isolamento o ad alta e media intensità di cura. La società deve proteggere anzitutto loro, i “più deboli” di fronte alla ripresa dei contagi Covid, e questo richiede un sacrificio per tutti, una solidarietà concreta e puntuale, una carità per il perdurante tempo di pandemia che sollecita i “più forti”, in particolare i giovani e i sani, a qualche rinuncia piccola per sé ma di grande valore per i “più deboli”.
Per don Roberto Colombo, esperto genetista delle malattie ereditarie rare e già professore ordinario della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, serve da subito “l’assunzione di comportamenti profilattici più responsabili verso il bene della salute e della vita delle persone anziane, fisicamente compromesse e più vulnerabili al Covid”.
Sappiamo che la Omicron 5 si trasmette molto facilmente e rapidamente, ma quanto è realmente pericolosa per ciascuno di noi?
Posta in termini generali, la domanda non ha una risposta. La manifestazione di una patologia infettiva virale dipende da due fattori: il grado di patogenicità (o virulenza) dell’agente virale, che è legato al singolo ceppo, e la capacità di risposta dell’organismo all’infezione dal virus, che varia da soggetto a soggetto. Rispetto al ceppo originale del Sars-Cov-2 e ad alcune prime sue varianti, quelle di tipo Omicron sono caratterizzate da una più modesta virulenza, che tende a prediligere le vie aeree superiori, come naso e faringe, e a risparmiare i bronchi e i polmoni, evitando solitamente di compromettere gravemente la funzionalità respiratoria. Nei soggetti che presentano un’adeguata risposta immunitaria e il cui quadro fisiologico è robusto, i sintomi possono essere molto contenuti, di breve durata o anche assenti. L’evoluzione dell’infezione da Omicron 5 può essere diversa ed assai più grave nei casi in cui la capacità di difesa immunitaria è scarsa e/o la copresenza di una patologia importante è fattore predisponente.
Cosa è cambiato dal primo anno della pandemia Covid ad oggi?
Con l’arrivo di questa variante l’obiettivo della profilassi sociale anti-Covid è mutato. All’inizio della pandemia per tutti era “proteggere sé stessi e gli altri in uguale misura”. La dimensione, per così dire, “autobeneficiaria” della campagna di profilassi ha spinto molti a seguire norme di prudenza e ad ottemperare di buon grado alle disposizioni restrittive imposte in alcuni luoghi di ritrovo, comprese le chiese, se non altro per paura di ammalarsi in forma grave. Adesso, lo scopo è anzitutto quello di “proteggere in maggior misura i più anziani, i deboli e gli ammalati”. Così, per la maggior parte della popolazione (quella immunizzata da vaccinazione oppure infezione pregressa e/o in buono stato di salute, come larga parte dei giovani e degli adulti) l’adottare misure profilattiche come l’uso della mascherina ffp2 negli ambienti chiusi e in presenza di altre persone nello stesso luogo, il distanziamento fisico, l’igienizzazione delle mani e il ricambio frequente dell’aria, sembra non avere un “ritorno per sé”, un “guadagno” certo per la propria salute. Viene meno l’incentivo “egocentrico”. Almeno tra i credenti, questa perdita di motivazione è sconcertante. “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22, 39) non implica forse anche: in chiesa abbi a cuore la salute del tuo vicino anziano, debole o ammalato come tieni alla tua?
Vi è chi sostiene che a finire in terapia intensiva o a morire a causa del Covid siano ormai solo i non vaccinati (completamente o senza dosi booster) …
È un’affermazione prima di fondamento. Nessun dato ufficiale reso noto dalle autorità sanitarie italiane e di altri Paesi consente di escludere i vaccinati con due o più dosi di vaccino dal novero di coloro che hanno richiesto o stanno richiedendo cure intensive o sub-intensive a motivo di una infezione da una delle varianti del Sars-Cov-2. Sulle percentuali relative tra vaccinati (con numero diverso di dosi) e non vaccinati vi possono essere delle discrepanze tra un’analisi statistica dei dati disponibili e un’altra. Ciò che è determinante per il quadro clinico e la sua gravità - ancor più per i positivi per la Omicron 5 - sono le condizioni fisiopatologiche del soggetto, l’età e la sua storia clinica, che include anche lo stato vaccinale e le infezioni Covid pregresse, ma non solo questi.
La “quarta dose” può essere la soluzione per riprendere la strada verso una normalizzazione della vita sociale che sembra essersi interrotta con l’arrivo della Omicron 5?
Non ne siamo affatto certi, come ha ricordato su queste stesse colonne anche il prof. Cauda alcuni giorni fa: bisogna aspettare che sia “verificata sul campo l’effettività” di questo ulteriore booster. Adesso non possiamo saperlo. Per questo, ha detto è “prudente farla”. Prudenza non è obbligo. Non si è obbligati in scienza e coscienza, perché mancano evidenze certe della sua efficacia contro Omicron 5. È infatti un dato condiviso da tutti gli studiosi, i clinici e gli epidemiologi che Omicron 5 è in grado di “bucare” lo scudo offerto dalla attuale versione dei vaccini (Comirnaty della Pfizer-BioNTech; Spikevax di Moderna): tra i positivi per Omicron-5 vi sono numerosi vaccinati e anche coloro che si erano già ammalati di Covid con varianti precedenti del virus. E i vaccini ora offerti per la quarta dose sono gli stessi preparati contro la forma virale che circolava nella prima ondata della pandemia Covid. Anche se potrebbero aiutare a ridurre in alcuni soggetti la gravità del quadro sintomatologico. Vi è uno studio, citato anche da Cauda, che va in questa direzione, quello israeliano. Però è stato condotto all’inizio dell’anno quando era ancora prevalente Omicron 1, non Omicron 5, che ha caratteristiche antigeniche diverse. Non abbiamo studi pubblicati che confermino questo per Omicron 5.
E i nuovi vaccini aggiornati, promessi dalle case produttrici per dopo l’estate?
Qui si apre un nuovo capitolo. Potrebbero essere utili per una profilassi vaccinale annuale contro le nuove varianti. Ma dovrebbero essere aggiornati “in tempo reale” rispetto alla loro comparsa e diffusione. Quelli che saranno probabilmente disponibili già a settembre – se approvati dall’Agenzia europea del farmaco – sono stati preparati a partire da antigeni di Omicron 1 e del virus originale di Wuhan. Per un eventuale secondo aggiornamento, basato anche su Omicron 5, bisognerà attendere altri mesi.
Cosa fare, dunque, nell’immediato per affrontare l’ondata di Omicron 5 e le sue conseguenze?
È urgente l’assunzione di comportamenti profilattici più responsabili verso il bene della salute e della vita delle persone anziane, fisicamente compromesse e più vulnerabili al Covid. Siamo certi che l’uso in modo continuativo e corretto di mascherine di tipo ffp2 negli ambienti chiusi di lavoro, di studio, di svago e per altre attività (inclusi i luoghi di culto durante le funzioni religiose e i locali per le vacanze comunitarie) dove si trovino gruppi numerosi di persone per un certo periodi tempo, unitamente ad un congruo distanziamento, alla igienizzazione regolare e frequente delle mani e a ripetuti ricambi d’aria è in grado di proteggere in amplissima misura dal contagio da Omicron 5. I mezzi di barriera fisica e la sanificazione della cute e dell’aria funzionano per qualunque variante del betacoronavirus. Usare queste precauzioni nelle parrocchie, negli oratori, ai campi estivi e durante le vacanze organizzate dalle comunità religiose è un atto di carità pastorale verso i più deboli, i più “poveri di salute”, i più fragili che sono tra noi e attorno a noi. Quel piccolo sacrificio di respirare attraverso la mascherina anche in tempo di vacanza è per un bene più grande: il bene comune che siamo chiamati a costruire insieme con il contributo di ciascuno. Si può essere liberi anche con la mascherina: liberi di amare chi tra noi ha più bisogno di essere protetto, difeso dal Covid.