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Viene in mente un film: “Nessuno lo sa”, dove una madre irresponsabile lascia i suoi quattro figli. Akira, il più grande ha 12 anni soli in un piccolo appartamento di Tokyo per stare con l’uomo di cui si è innamorata.

 

 

 

Affida al maggiore dei quattro fratelli la responsabilità sui più piccoli, consegnandogli una piccola cifra di denaro per la sussistenza di tutti. Quando la mamma scompare, Akira - a soli 12 anni - diventa l’adulto di riferimento per i suoi fratelli. Li nutre, li protegge, li consola. Lui bambino, fa per i suoi fratellini quello che gli adulti non hanno mai saputo fare per lui e con lui. Il film è bellissimo e straziante. Mostra una società in cui i bambini sono diventati - al tempo stesso - invisibili e ingombranti. Nessuno si accorge dei quattro fratellini, “nessuno lo sa”, proprio come dice il titolo.

Una bimba di 18 mesi è stata lasciata sola in un appartamento per più giorni dalla madre che l’ha abbandonata per raggiungere il proprio compagno. Intorno nessuno sapeva, Ciò che mi lascia senza parole è il silenzio assordante di tutto e di tutti, durante i sei giorni in cui Diana, resta senza nessuno, in un appartamento di Milano. Nessuno ha visto. Nessuno ha sentito. Nessuno ha capito che cosa stava succedendo in quella casa.  Non possiamo giudicare il comportamento di un genitore che fa una cosa così terribile. Ci penseranno la legge e gli specialisti che prenderanno in carico il caso. Questi casi ci dicono, in modo estremo e tragico, una verità che va al di là della singola situazione: troppe volte non ci accorgiamo di chi ci passa accanto, volgiamo altrove lo sguardo. Eppure, i segnali c’erano stati.  I servizi sociali segnalano spesso bambini abbandonati a se stessi.  Diana c’era. Ma nessuno se ne è accorto.  “Nessuno lo sa”: non è solo un film. A volte è anche la frase che meglio descrive la storia di bambini che ci vivono accanto.

Gianmario Gazzi, presidente del Cnoas, il Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali chiede: «Dov’era la comunità? Perché siamo tutti iperconnessi e poi ci sono persone invisibili ai nostri occhi, di cui ci dimentichiamo l’esistenza? Oggi Diana, un altro giorno l’anziano morto e ritrovato in casa dopo mesi e mesi. Possiamo parlare quanto vogliamo di servizi, risorse, persone e tutti su quel territorio, ricco di servizi e terzo settore, certamente si stanno già chiedendo se potevano fare meglio. Ma prima c’è un tema culturale e umano. Tutti abbiamo una responsabilità. Tutti dobbiamo chiederci “Io, dov’ero?”. Contrastare la solitudine e l’indifferenza ci riguarda tutti. Per Diana, una preghiera e molte lacrime.

 

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