“Siamo quasi a 6 mesi di guerra e più il conflitto procede, più gente muore, più civili soffrono, più risorse vengono sprecate e più infrastrutture vengono distrutte, maggiore è il desiderio di fermare l’avversario prevale, senza badare troppo al codice di guerra”.
“Per questo, soprattutto l’Europa dovrebbe fare uno sforzo importante perché il conflitto finisca, mentre finora è prevalsa la tendenza di usare la guerra per indebolire la Russia”. Così il giornalista Fulvio Scaglione, per anni corrispondente da Mosca, commenta l’attuale fase della guerra tra Russia e Ucraina, ormai prossima a traguardare i 180 giorni dal suo inizio.
Sono quasi trascorsi sei mesi dall’inizio delle ostilità che si sperava potessero cessare il prima possibile. La guerra si sta trascinando e, come il Papa temeva, non fa quasi più notizia…
In questo momento il conflitto è in una situazione di stallo. I russi, che nei mesi scorsi hanno realizzato una sensibile avanzata soprattutto nel Donbass, hanno consumato energie, uomini e risorse; e non hanno lo slancio per tentare un’altra spallata o non hanno la volontà politica per affrontare i sacrifici necessari a compierla. Gli ucraini, invece, che hanno sempre resistito piuttosto bene, negli ultimi tempi hanno ricevuto massicci rifornimenti di armi che consentono loro di colpire a più lunga distanza e, quindi, di intimidire i russi con una tattica che può realizzarsi solo con la collaborazione fattiva di servizi di intelligence occidentali.
Dal punto di vista diplomatico ultimamente ci sono stati timidi segnali. Come li giudica?
C’è una situazione di stallo anche politica. Da un lato l’Europa e l’Occidente cercano di capire se le sanzioni comminate alla Russia avranno un impatto decisivo sulla volontà politica di Mosca, cosa che per ora non è successa. La Russia, allo stesso tempo, sta cercando di capire se la strategia sul gas e la reazione economica alle sanzioni occidentali produrranno a loro volta effetti su Europa e, meno, sugli Stati Uniti. Si è capito che c’è questo silente confronto: lo si è visto per l’accordo sul grano ucraino che prevede anche degli allentamenti al blocco delle esportazioni di fertilizzante russo; e lo si è visto in qualche provvedimento di alcune banche americane ed europee che hanno ricominciato a trattare bond russi… Si sta giocando una “partita a scacchi” sia al fronte sia nelle cancellerie e nelle ambasciate.
Qual è la situazione interna all’Ucraina?
Abbiamo assistito ad un fortissimo riposizionamento politico interno al Paese. Zelensky ha fatto piazza pulita di ministri, alti funzionari dei servizi segreti… Si sente dire che il comandante in capo delle forze armate ucraine, il generale Valeriy Zaluzhny dovrebbe diventare il ministro della difesa prendendo il posto di Oleksiy Reznikov, promosso a primo ministro. Pare che sia una soluzione gradita agli Stati Uniti ma, onestamente, bisogna ammettere che ciò che succede dentro l’Ucraina è diventato un mistero; pochissimi si occupano di ciò che c’è oltre la figura simbolica di Zelensky.
L’altro giorno a Leopoli si è svolto il trilaterale Zelensky-Erdogan-Guterres…
L’incontro ha avuto al centro la situazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia che è, in effetti, una questione drammatica. Le truppe russe sono all’interno della centrale che viene bombardata dagli ucraini: siamo di fronte a due follie.
Sembra che l’escalation di tensione non voglia arrestarsi…
Come tutte le guerre, anche quella in Ucraina non è combattuta in punta di fioretto o con i guanti bianchi. E più il tempo passa più va “incattivendosi” con russi e ucraini che bombardano quartieri cittadini con civili senza ritegno. Per questo c’è una sincera preoccupazione generale: dopo sei mesi di guerra nessuno pare intenzionato a mollare, c’è una continua escalation degli strumenti impiegati. Tutto diventa più mortale. E l’esempio della centrale di Zaporizhzhia è emblematico. Anche la telefonata tra Macron e Putin testimonia che la preoccupazione è reale e molto diffusa. Ma oggi è inchiodata nel “cul de sac” della strategia politica che vorrebbe il crollo della Russia, cosa che oggi non è all’orizzonte. Alcuni indicatori dicono che il 25% delle piccole e medie imprese russe hanno dovuto ridurre il personale, quindi sta aumentando la disoccupazione. Ci sono segnali di sofferenza ma un crollo, un calo di consenso per Putin, un’opinione pubblica contraria alla guerra e un cambio di linea politica sono ben lontani. Se si prosegue sulla linea di usare questa guerra per ridimensionare la Russia e le sue ambizioni le cose possono solo peggiorare dal punto umano e anche economico.
La guerra ha avuto effetti non diretti anche sui Paesi non direttamente coinvolti generando crisi economica, energetica…
Il tema della transizione energetica è più ampio delle ricadute del conflitto. Certamente può aver invogliato i politici europei a pensare che se il futuro può essere senza il gas russo allora tanto vale approfittare di questa situazione.
Ora che anche noi europei paghiamo le conseguenze del conflitto, il problema vero è capire quanto possiamo continuare con gli attuali prezzi di gas, benzina ed energia… Se l’inflazione industriale due mesi fa in Paesi come la Germania e l’Italia era al 30-35% e ci vuole qualche mese prima che questa si scarichi sui consumatori vuol dire che in autunno ci troveremo a pagare tutto il 30-35% in più: quanto possiamo resistere in queste condizioni? E gli assetti politici quanto possono resistere di fronte a popolazioni che saranno inevitabilmente chiamate a fare grossi sacrifici?