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Il 25 settembre si vota secondo la legge elettorale approvata nel 2017 e nota alle cronache come legge RosatoRosatellum dal nome del suo relatore di allora. È la stessa legge con cui si è votato nel 2018.

 

 

Prevede un sistema misto: il 37% dei seggi viene assegnato in collegi uninominali maggioritari (viene eletto il candidato più votato); il 61% viene attribuito in collegi plurinominali (liste bloccate da 2 a 4 candidati) con riparto proporzionale tra coalizioni e liste che abbiano superato alcune soglie di sbarramento; il restante 2% riguarda gli italiani residenti all’estero con 4 circoscrizioni e riparto proporzionale.

Rispetto alle precedenti elezioni politiche, tuttavia, sono intervenute due novità a livello costituzionale: la riduzione del numero dei parlamentari e l’allargamento a tutti i maggiorenni del voto per il Senato (prima sussisteva il limite di 25 anni). Sono circa 3,8 milioni gli under 25 chiamati alle urne che rendono per la prima volta il corpo elettorale di Palazzo Madama equivalente a quello di Montecitorio.

Quanto alla riduzione dei parlamentari, alla Camera i collegi uninominali passano da 232 a 147, le circoscrizioni proporzionali da 386 a 245, gli eletti all’estero da 12 a 8; al Senato i collegi uninominali scendono da 116 a 74, le circoscrizioni proporzionali da 193 a 122, gli eletti all’estero da 6 a 4. Ovviamente collegi e circoscrizioni sono significativamente più ampi che in precedenza.

Le liste possono presentarsi da sole o in coalizione. Anche in questo secondo caso, però, ogni lista si presenta comunque con il proprio simbolo. Le coalizioni, infatti, sono sostanzialmente delle alleanze elettorali per poter competere nella conquista dei collegi uninominali convergendo su un unico candidato. Non vincolano in termini di maggioranze di governo, come ha ampiamente dimostrato l’esperienza del 2018.

Le coalizioni (ne sono in campo due che per semplificare definiremo di centro-destra e centro-sinistra, anche se su queste definizioni si potrebbe discutere a lungo) devono superare una soglia di sbarramento del 10% a livello nazionale.

Le liste, invece, per accedere al riparto proporzionale devono ottenere almeno il 3%. Quelle che fanno parte di una coalizione e non arrivano a questa soglia ma ricevono almeno l’1% dei voti, portano i loro consensi alle altre liste coalizzate, in misura proporzionale ai risultati di queste ultime. Sotto l’1% i voti risultano praticamente dispersi. Altre soglie sono fissate per legge a livello regionale, in particolare laddove vigono gli statuti speciali. Ci sono poi delle soglie implicite, di fatto, che si aggiungono per il Senato soprattutto nelle regioni più piccole a causa della riduzione del numero dei parlamentari. Secondo le stime degli esperti le soglie di sbarramento “effettive” vanno dal 3% della Lombardia a oltre il 20% per Umbria e Basilicata.

Sulle due schede del 25 settembre (rosa per la Camera, gialla per il Senato) l’elettore trova una serie di riquadri con in alto il nome del candidato nel collegio uninominale e sotto la breve lista collegata che concorre al riparto proporzionale, con relativo simbolo (più liste con i rispettivi simboli in caso di coalizioni). Se viene segnato solo il candidato uninominale, il voto viene automaticamente computato anche per la lista o le liste collegate (in questo secondo caso il riporto avviene pro-quota in base ai consensi ottenuti da ciascuna lista). Se viene segnata solo la lista, automaticamente il voto va anche al candidato uninominale. Non è ammesso votare una lista e un candidato uninominale non collegati e non si possono esprimere preferenze: le liste sono “bloccate”, conta l’ordine in cui sono scritte, anche se poi sull’assegnazione finale dei seggi incidono i complessi meccanismi del calcolo dei quozienti e dei resti e, a monte, la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni.

 

 

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