Corrono da una parte all’altra della città. Li vediamo in bici o in motorino, incuranti di pioggia e vento perché è il solo modo per guadagnare di più e magari portare a casa la giornata. Per loro non ci sono differenze tra festivi, weekend, orari notturni. Natale o Capodanno.
Non hanno tutto quello che un lavoratore dipendente di solito ha, e questo perché sono lavoratori “autonomi”, sebbene non siano loro a concordare la paga né a decidere le modalità con cui devono svolgere l’attività.
Sono i riders, i fattorini, ragazzi, ma anche over 40 che tramutano un ordine su Internet - di cibo, ma non solo - in una consegna a domicilio. Un rider va “dove lo porta l’ordine”. Il datore di lavoro non è infatti l’esercizio, ma una piattaforma online di food delivery, di consegna di cibo a domicilio. Deliveroo, Glovo, Uber Eats, Just Eat, solo per fare qualche nome di marchi che, grazie a questo esercito di lavoratori su due ruote, riescono a garantire in alcuni casi consegne 24 ore su 24, in altri fino alle 2 di notte.
Quel che conta per un rider è essere dotato di buone gambe, qualora si usi la bici, che è comunque di sua proprietà, o saper guidare un motorino (anche questo non in dotazione) nel traffico cittadino e avere uno smartphone.
Perché nell’era dell’app economy, tutto viene gestito appunto tramite un’applicazione e un pc. Da quando ci si candida fino a che si ottiene il lavoro. A volte viene fatto un colloquio telefonico, qualche volta dal vivo, ma la maggior parte delle volte è tutto virtuale. «Ogni rider ha un punteggio legato all’affidabilità e qualità. L’affidabilità è determinata da ristoratori e clienti che lasciano una recensione sul lavoro svolto, dipende anche dal fatto che hai preso un turno e lo rispetti o, se non puoi farlo, che almeno avvisi per tempo. Dipende anche dalla disponibilità: più sei disponibile più lavori. Si viene pagati 2 euro a consegna più 63 centesimi a chilometro in linea d’aria, più si ha diritto a 5 centesimi per ogni minuti di ritardo da parte del ristorante.
Bisogna considerare che, a fronte di una consegna che viene pagata a partire da 2 euro all’ora, la società di food delivery chiede almeno 2,50 al cliente che la utilizza. Inoltre, queste piattaforme, grazie agli ordini, sono in possesso di informazioni riguardo alle abitudini di una persona, di una determinata zona, sono capaci di influenzare aziende. Hanno pertanto una delle merci più preziose al giorno d’oggi: i dati».
Ma le tutele per i lavoratori sono davvero poche.
Ad esempio, un rider, che si chiamava Sebastian Galassi, aveva 26 anni e lavorava a Firenze come rider per Glovo. Si pagava così gli studi di grafica per il web, la sera con la sua bici cercava di correre quanto più veloce possibile per sbaragliare i tempi dell’algoritmo e attraversare il dolore di una situazione precaria che accomuna migliaia di uomini e donne. La sera del 2 ottobre era in ritardo su una consegna e Glovo lo ha licenziato immediatamente.
Non sapevano che Sebastian era morto nell’ospedale di Careggi perché travolto da un suv insieme alla sua bicicletta. Non sapevano che le loro catene avevano concepito l’ennesimo morto ammazzato che cercava di soddisfare tempi di consegna dettati da un algoritmo che non ha rispetto di nessuno.
Il mattino seguente nella sua casella di posta elettronica è arrivata la comunicazione automatica della multinazionale che gli notificava il licenziamento per mancato rispetto dei termini e delle condizioni contrattuali.
In quella mail è racchiuso tutto il male di un modello economico disumanizzante, in cui il lavoratore non è un essere umano, ma la pizza capricciosa che riesce a consegnare sano e salvo o che non consegna perché violentemente travolto da un suv. Questa è una storia che ha raccontato Daniele Umbrello, e che ci apre gli occhi, sul modo in cui ancora oggi molti lavoratori sono trattati.
Essi chiedono la regolamentazione degli algoritmi utilizzati per assegnare i turni e per valutare le prestazioni che dovrebbero entrare a vigore dopo un periodo di sperimentazione. Chiedono anche il diritto alla disconnessione, ossia al non essere contattati se non dopo 11 ore da quando è passato il turno.
E un sorriso ed una mancia quando bussano alla nostra porta non guasterebbe.