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“L’aumento dell’inflazione, combinata con il rallentamento della crescita economica sta riducendo drasticamente i salari reali in Italia e in molti Paesi dell’Unione europea”.

 

 

 

È quanto emerge dall’ottava edizione del Rapporto mondialeL’impatto dell’inflazione e del Covid-19 sui salari e sul potere d’acquisto” dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). Per la prima volta da inizio secolo, i salari reali sono diminuiti su scala mondiale (-0,9%) nella prima metà del 2022. In Italia, spiega l’Oil, “l’impennata inflazionistica ha eroso i salari con una riduzione di quasi 6 punti percentuali nel 2022 che è più che doppia rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea. Questo ‘effetto inflazione’ segue un periodo di crescita modesta di 0,1 punti percentuali delle retribuzioni mensili nel periodo 2020-2021 (+1,7 punti per la media dei Paesi dell’Unione europea) a causa della pandemia”.
Tra le economie del G20, solo per l’Italia, il Giappone e il Regno Unito i salari hanno registrato livelli inferiori nel 2022 rispetto al 2008. Nel nostro Paese si è avuta la decrescita maggiore, pari al 12%. Dal Rapporto, inoltre, emerge che la crisi causata dalla pandemia e l’inflazione hanno avuto un impatto maggiore su lavoratori e lavoratici con basse retribuzioni: la proporzione di lavoratori a bassi salari in Italia è passata dal 9,6% del 2019 al 10,5% del 2020. Penalizzati anche i giovani, particolarmente numerosi tra i lavoratori a bassa retribuzione anche se si è registrata una crescita maggiore tra i lavoratori a bassa retribuzione di età compresa tra i 35 e i 50 anni e i lavoratori a termine. Infine, il divario salariale di genere è rimasto immutato a livello globale durante la pandemia e si attesta intorno al 20%. In Italia è stato dell’11% (per salari orari) e del 16,2% (salari mensili): “Questo - viene spiegato dall’Oil - nasconde tuttavia la maggiori perdite occupazionali delle lavoratrici durante l’emergenza Covid-19”.

Presentando i principali contenuti del Rapporto relativi al nostro Paese, Giulia De Lazzari, specialista sulle politiche salariali del Dipartimento dell’Oil sulle condizioni di lavoro e l’uguaglianza, ha posto l’attenzione sul fatto che “l’Italia ha avuto la decrescita dei salari più evidente (-12%) e questo ha intaccato in modo importante la possibilità di spesa delle famiglie negli ultimi 15 anni”.

Inoltre, ha proseguito, “da fine 2021 l’inflazione ha avuto un forte impatto che si è sommato a quello della pandemia. I beni nel paniere su cui si calcola l’inflazione aumentano a diverse velocità, l’incremento è trainato particolarmente dai prezzi di costi abitativi (con bollette elettriche e del gas), trasporti e beni alimentari. Sono i cosiddetti beni e servizi fondamentali, quelli irrinunciabili. L’effetto negativo per le famiglie con redditi medio-bassi è che non solo hanno un reddito disponibile inferiore ma tendono a consumare una proporzione relativamente più alta di questi beni essenziali”. La stima a livello globale è che le famiglie a basso reddito fanno fronte ad un’inflazione tra 1 e 4 punti percentuali in più di quella per le famiglie a più alto reddito. Sul fronte lavoro, De Lazzari ha poi osservato che “nell’ultimo anno c’è stata un’inversione di tendenza, con la produttività che è aumentata mentre i salari sono diminuiti”.

Dal Rapporto viene confermato che durante la pandemia i bassi salari, quelli dei cosiddetti “working poor”, hanno sofferto di più: le donne sono state più colpite degli uomini e al Sud la percentuale di bassi salari è molto superiore rispetto alle altre aree del Paese. Inoltre, “per effetto della pandemia - ha spiegato - molte famiglie, specialmente quelle a basso reddito, hanno avuto una perdita di salario. Un fattore che non viene recuperato e che aumenta le disuguaglianze che già esistevano prima”. Un altro aspetto presentato è quello relativo al fatto che “nel secondo trimestre del 2020 c’è stata un’evidente riduzione del monte salati e le donne hanno perso di più rispetto agli uomini”.

“Con una crisi come quella del Covid-19 che distrugge le posizioni lavorative più in basso nella scala della distribuzione salariale succede che i lavoratori che rimangono nella forza lavoro sono quelli con un salario più alto”. L’effetto paradossale è che il salario medio risulta superiore a quello della crisi; “ma non c’è un effettivo aumento salariale”, ha spiegato, rilevando che questo è valso soprattutto per le donne per le quali i dati parlano di un aumento medio di salario nominale migliore. “Questo – ha osservato – succede perché gli uomini sono più equamente distribuiti rispetto al salario mentre le donne tendono a concentrarsi su livelli molto alti o molto bassi”.

Rosalia Vazquez-Alvarez, una delle autrici del rapporto, ha rilevato come “si è verificato per via della pandemia un aumento del valore aggiunto per lavoratore, perché la pandemia ha agito da selettore espellendo dal mercato le imprese e i lavoratori meno produttivi e premiando le imprese più produttive. Quelle che sono uscite meglio dalla crisi e magari sono cresciute sono quelle che hanno già introdotto le misure relative alla digitalizzazione. È un effetto temporaneo sul valore aggiunto, nel medio-lungo periodo ci saranno poi gli aggiustamenti del mercato del lavoro”.

Di fronte a questo quadro, Gianni Rosas, direttore dell’Ufficio dell’Oil per l’Italia e San Marino, ha provato a delineare le “misure che possono essere prese per proteggere lavoratori, lavoratrici e le loro famiglie dalla situazione attuale di erosione salariale causata dall’inflazione”. Si tratta di intervenire “a supporto dei salari e del potere d’acquisto delle famiglie” ma anche per “sostenere gli investimenti delle imprese”. “Una riduzione degli investimenti – ha spiegato – bloccherebbe la crescista dell’occupazione. E l’Italia ha in generale bassi tassi di occupazione e, in particolare, molto bassi per l’occupazione femminile”. Rosas ha sottolineato “l’importanza di creare occupazione di qualità, che dia dignità a lavoratrici e lavoratori.

E uno degli aspetti importanti” è rappresentato dai “salari che devono essere adeguati per permettere di condurre una vita dignitosa”. “Le politiche per la crescita economica e per il lavoro dignitoso – ha ammonito – devono andare in tandem per avere un impatto positivo”. Anche per questo “servono indicatori che misurino la qualità del lavoro che viene prodotto”. Una possibile applicazione potrebbe essere sugli investimenti del Pnrr per capire se producono lavoro stabile e di lunga durata.

 

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