Il 6 marzo, dopo un periodo di mancata esposizione piuttosto lungo (almeno secondo i parametri dei social), il rapper Fedez ha postato sul profilo Instagram della sua famiglia, i “Ferragnez”, un video in cui spiega il perché di questo silenzio, di questa improvvisa assenza.
Sembra infatti che pure in un periodo in cui un terremoto ha ucciso più gente di quanto avrebbero potuto quaranta bombe atomiche messe insieme, cento persone sono annegate sulle nostre coste tra l’indifferenza generale, e altre catastrofi naturali ed economiche incombono o sono già all’opera, uno spazietto di preoccupazione per la sorte del giovane milionario tatuato e la sua bella famigliola sia rimasto nel cuore di tanti italiani, per lo più giovanissimi, e dunque occupi un corrispettivo spazio nelle cronache italiche.
La latitanza di Fedez dai social era stata dai più attribuita allo “scandalo” (le virgolette sono doverose, visto il livello generale della kermesse in questione) del bacio tra lui e un analogo tatuato cantante, salvo poi scoprire che i motivi erano ben altri, del tutto pragmatici, ovvero le conseguenze dell’effetto “rebound” della cessazione drastica di uno psicofarmaco che il cantante aveva dovuto assumere in seguito a una delicata operazione oncologica al pancreas: storia di una fragilità che non può che muovere a empatia e compassione, come quella di ogni uomo che ci riveli la sua insuperabile vulnerabilità creaturale.
Questa storia ci permette tuttavia di allargare ad altro le nostre considerazioni, sperando però di riuscire a rimanere connessi al caso concreto, perché di nessun uomo, migrante o milionario che sia, si può o si deve cancellare il volto, riducendolo a numero o a esempio generico.
Prima di tutto, essa ci mostra per l’ennesima volta la facilità che abbiamo nell’unire i puntini, ma nel modo sbagliato, nel passare da illazioni a giudizi, nel confondere ipotesi con tesi, e impressioni con percezioni. Finché si tratta di chiacchiere da salotto su gente ricca e famosa si può mettere in conto: loro lo sanno, noi lo sappiamo, e nessuno ci perde. Il problema è che le persone pubbliche ed “esposte” non fanno che mettere in vetrina una tendenza che abbiamo con tutti, perché di tutti pensiamo sempre di avere chiare le motivazioni, i retropensieri e le intenzioni, quando persino di noi stessi conosciamo ben poco, sfuggendoci per lo più il nostro inconscio con i suoi sotterranei automatismi. Sarà un caso che, nel crescere della consapevolezza spirituale di se stessi, si sia sempre meno propensi a giudicare gli altri?
Se questo primo spunto di riflessione concerne la cornice, cioè quanto “il gossip” ha attribuito a questo pover’uomo martoriato dalla malattia congiunta alla fama, il secondo riguarda proprio lui, e lo scotto da pagare per avere scelto un certo stile di vita.
La tentazione toglie sempre quello che garantisce di dare, e accogliere le sue suggestioni, facendone criteri di scelta e di azione, significa predisporsi a dover fronteggiare quanto essa ci faceva originariamente temere, mentre al contempo ci prometteva che i suoi suggerimenti ce lo avrebbero fatto evitare.
E dunque, quello che sant’Ignazio definì, pensando alla sua giovinezza, “l’amore per l’onore vano”, promette il superamento delle proprie insicurezze mediante l’affermazione vincente di sé… salvo poi tradursi nell’esatto opposto, ovvero nella necessità di esibire pubblicamente le proprie debolezze, le proprie mancanze, e racimolare compassione anziché ammirazione.
Sia chiaro: ora Fedez è molto più simpatico, perché si può simpatizzare con un uomo reale, e non con una patina artefatta di coreografiche photoshoppate, ma mentre a renderlo interessante è quanto rende interessante ogni uomo per un cuore minimamente sensibile, ovvero il suo bisogno di vicinanza in un momento difficile, c’è da chiedersi se per lui e la sua famiglia abbia senso voler provare da qui in avanti a resettarsi in una versione glamour, e non piuttosto a iniziare il serio cammino della vita, per il loro reciproco bene, per la custodia dei loro affetti più intimi, che pur in tante intemperanze esibizionistiche hanno sempre saputo (loro malgrado) testimoniare, arrivando a ripudiare la recente lusinga di un facile gayismo mediatico per rientrare nei ranghi di una tradizionale famigliola lombarda.
Cari Federico e Chiara, spegnete quelle telecamere, chiudete i “profili” (che per definizione non permettono mai di vedersi in volto, tant’è che nelle icone solo i cattivi sono raffigurati di profilo), e godetevi la vostra vita agiata, finché vi è dato dalla Provvidenza: l’accoglienza della vita dei vostri bambini, l’attraversamento dell’esperienza della malattia, e il bisogno di reciproco sostegno vi hanno probabilmente reso sufficientemente maturi per poter finalmente entrare nel mondo adulto, riponendo balocchi che per voi, e per chi vi segue, si rivelano sempre più le trappole che sono.