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La carica dei 30mila cuori giallorossi sugli spalti, la forza dei calciatori salentini in campo sono stati la miscela esplosiva che ha permesso di celebrare il ritorno del Lecce in A.

 

 

La partita è stata sudata e combattuta, perché il Pordenone voleva vendere cara la pelle.

La calvacata del Lecce, però, doveva concludersi con il primo posto in classifica, nonostante le tante traversie, gli arbitraggi spesso prevenuti, le sceneggiate dei giocatori avversari, i punti persi per colpa di pali e sfortuna, il Var usato sempre a senso unico, ma soprattutto i fiumi di euro spesi su altri lidi. È ben giusto allora che al Lecce, a cui nessuno ha regalato nulla, vada con merito riconosciuto il primato delle idee, la forza dell'unità di una Società, di una squadra e di un territorio che si sono dimostrati compatti nel raggiungimento dell'agognato traguardo. Prima della gara, la Nord già gridava: 'Noi vogliamo il Lecce in serie A' e così è stato.

Oggi doveva essere la festa di un gruppo di ragazzi che ha permesso al Lecce il salto di categoria. Doveva essere la celebrazione del trio delle meraviglie: Coda, Di Mariano e Strefezza. Doveva essere anche il tempo per dar spazio a chi è rimasto in panchina senza far polemiche, privilegiando l'interesse del gruppo alle pretese personali. Perciò, Baroni ha dato il giusto spazio iniziale a Majer, grande uomo ed eccellente giocatore, che ha saputo soffrire, ma anche gioire con i propri compagni e superare le difficoltà della vita privata. Proprio lui doveva essere l'uomo della promozione, come in una favola a lieto fine. È questa la favola Lecce che non mollava davanti alle difficoltà.

Nella formazione iniziale, il tecnico toscano ha inserito anche Tuia, mentre la linea verde era garantita da Gendrey e Gallo, così come dal sontuoso Hjulmand, grande conferma del centrocampo salentino.

Di contro il Pordenone, già retrocesso, non poteva rovinare la festa, nonostante il tentativo della squadra di mister Tedino di far sudare la vittoria, facendo soffrire e palpitare i tanti tifosi. Ma questo Lecce e questo pubblico erano superiori al Pordenone.

Al 7' Strefezza suonava in campo la carica e il suo tiro dal limite veniva deviato sul palo dal portiere avversario.

Dopo due minuti era Di Mariano a sfiorare di testa il gol del vantaggio. L'inizio era promettente, il Lecce si dimostrava aggressivo e famelico. Tutto lo stadio continuava a spingere, anche se la partita non era facile.

Majer entrava bene, dava ritmo alla squadra, dimostrandosi anche continuo. Dall'altro lato, Gargiulo era un po' impreciso, ma correva molto sul suo out di competenza.

Al 17' la serpentina di Di Mariano sul recupero di Hjulmand avrebbe meritato miglior fortuna, ma la frenesia di chiudere i conti non giovava. Lo stesso Hjulmand ci provava dal limite, ma ancora un prodigioso intervento di Fasalino strozzava in gola il grido del gol.

Alla mezz'ora, Gargiulo si divorava l'1-0 da due metri su uno splendido assist di Gallo. Al 33' un cross insidioso gelava il via del Mare, ma Gabriel, sebbene un po' distratto, si riprendeva in tempo e smanacciava sulla linea di porta.

Nel secondo tempo, era ancora il Lecce a menare le danze. Passavano solo 53 secondi dal fischio della ripresa, quando Majer insaccava da pochi passi, pescato da Di Mariano. Era l'apoteosi dello stadio e del Salento intero.

Dopo 9 minuti, mancava il clamoroso appuntamento col gol Di Mariano, che falliva da due passi l'assist di Gallo, la cui partita è stata perfetta.

Il resto della partita era pura accademia e nemmeno gli ospiti avevano voglia di rovinare la festa.

Alla fine l'esplosione di gioia dei 30mila, al triplice fischio di Piccinini, si è tramutata in un carosello di auto e in un tripudio di gioia che ha attraversato la città e il Salento.

La meta è stata raggiunta, oggi è la gloria, oggi è serie A, ma adesso, tutti uniti, difendiamolA.

 

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