0
0
0
s2sdefault

Non si arrestano le emozioni suscitate l’altra sera dall’ascolto silenzioso e partecipato de “La lampara”, la preghiera di don Tonino Bello resa in musica dagli artisti della Fondazione La Notte della Taranta (GUARDA).

 

 

Applausi commossi nella chiesa di Sant’Irene a Lecce, gremita in ogni ordine di posto, durante il concerto-evento "In Oriente la sua stella. La Notte dei Magi" promosso nell’ambito della rassegna “Natale a Lecce” da ArtWork, arcidiocesi di Lecce, Fondazione Splendor Fidei. Consensi corali che hanno raggiunto l’apice quando Antonio Amato (accompagnato dalla fisarmonica di Roberto Gemma e dal violino di Giuseppe Astore) ha pregato in canto le parole di don Tonino musicata dall'Orchestra popolare de La Notte della Taranta.

Con l’aiuto di un saggio apparso sulla rivista “Vocazioni” della Cei nel 2017, a firma di Elvira Zaccagnino, direttrice delle Edizioni La Meridiana di Molfetta, proviamo a conoscere meglio questo testo di don Tonino, orante e poetico al tempo stesso.

La lampara - scrive la Zaccagnino - è la preghiera dell’addio alla sua terra di origine e del viaggio verso un altro mare, quello di Molfetta, che lo aspetta come vescovo. È una preghiera notturna sul porto di Tricase. Un piccolo molo dove don Tonino resta solo. Il silenzio intorno che favorisce il silenzio dentro”.

“Ci sono delle cose - ricorda la scrittrice - che don Tonino chiede al Padre nella notte in cui il mare è appunto ‘senza vele e senza sogni’: «Da’ a questi miei amici e fratelli la forza di osare di più. La capacità di inventarsi. La gioia di prendere il largo. Il fremito di speranze nuove, la volontà decisa di rompere gli ormeggi… stimola in tutti soprattutto nei più giovani una creatività più fresca, una fantasia più liberante e la gioia turbinosa dell’iniziativa che li ponga al riparo da ogni prostituzione». Richieste che sono degli auguri che potrebbero sembrare di circostanza se non fossero seguite dalla fotografia impietosa che don Tonino traccia della comunità che lascia: «Ci sono i poveri, i malati, i vecchi, gli esclusi, c’è chi ha fame e non ha pane ma c’è anche chi ha il pane ma non ha fame, ci sono gli sfrattati, le prostitute, chi è stanco e solo, chi ha ammainato le vele, chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore, chi pensa che un solo gesto di carità serva a sanare tante sofferenze»”.

“Non è solo una immagine poetica «chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore» - osserva la Zaccagnino -: è una metafora vera che empatizza e sintonizza, che dice di una sensibilità che coglie la prossimità con delicatezza. Che non vede la fotografia per giudicarla, ma per cogliere le sfumature, il fermo immagine che mette insieme tutti i particolari. Lo scrupolo del realismo non come pratica di cinismo, ma come conoscenza del reale”.

Infine, c’è la nostalgia del futuro. “Se guardiamo all’esperienza ultima della vita di don Tonino - aggiunge -, quella accompagnata anche nella carne dalla certezza della fine, c’è sempre un pieno di futuro che promana dai suoi testi, dalle sue parole: «Vi benedico da un altare scomodo, ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci». È la benedizione che don Tonino pronunciò con un filo di voce il suo ultimo giovedì santo, quando su una lettiga scese dalla sua stanza per celebrare la liturgia degli olii. Nella preghiera La lampara, in una notte dove il mare è senza vele e senza sogni, basta la luce di una lampara vista in lontananza a dare slancio e far dire: «Ora basta. È già scesa la notte, ma laggiù sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampara». Il sasso è quello che ci interroga su quale postura abbiamo e che cogliamo in quel dire “basta”. La postura non del ripiegamento e del dubbio come pratica costante e unica, ma quella dell’affidarsi al barlume di una luce che si coglie da lontano per intraprendere il viaggio. Rompere gli ormeggi che ci fanno stare in acqua, ma ben ancorati alla terraferma. Siamo spesso in questa nostra dimensione di ambivalenza. Timorosi di osare”.

C’è tutto questo ma anche di più nella preghiera di don Tonino che il canto degli amici de “La Notte della Taranta” hanno reso ancora più intensa, più forte, più vissuta.

Commovente: “È già scesa la notte, ma laggiù sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampara”.

 

 

 

 

Forum Famiglie Puglia