Quando Tommaso Moro capì che Enrico VIII lo avrebbe fatto decapitare, perché non tollerava il suo silenzio sulla questione del suo matrimonio e sulla guida della chiesa inglese, scrisse nella torre di Londra:
“Perché odiare, adesso, per qualche tempo, il re che poi mi amerà per sempre? E perché oggi dovrei essere nemico di un uomo al quale, nel mondo che verrà, sarò congiunto da amicizia eterna? E d’altro canto, se lui continuerà ad essere cattivo e venisse dannato, conoscerà eternamente pene tanto spaventose che veramente sarei un miserabile indegnamente crudele, se oggi non prendessi parte alla sua infelicità compatendolo, invece di volere del male alla sua persona”.
Moro, che obbediva alla voce della coscienza, d’altro canto, continuò ad amare il re, anche quando questi ne decretò il martirio.
Questo aspetto della santità è oggi da rammentare, in tempi di guerra: il santo non può mai odiare, sarà sempre e comunque uomo di pace.
Nessuno può essere chiamato martire dalla Chiesa se odia chi lo uccide, alla maniera dei terroristi integralisti. No, martire è solo colui che offre la vita anche per i suoi uccisori: martire è solo chi muore dicendo, come santo Stefano, “Padre perdona loro”.
Anche quei santi, come Giovanna d’Arco, che hanno combattuto per la difesa del loro popolo, sono santi solo perché hanno continuato ad amare i loro nemici: mai Giovanna, o santi come lei, hanno pronunciato parole di odio o soffiato sul fuoco della guerra.
L’essere operatori di pace appartiene anche ai santi della vita quotidiana, celebrata nella festa dei Santi. Papa Francesco li ha chiamati la “classe media della santità”, rifacendosi all’espressione dello scrittore francese Joseph Malègue che scrisse un’opera dal titolo Les Classes moyennes du Salut.
Dice il Papa: “C’è una “classe media della santità. Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è stata la santità di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che è sempre andata avanti con coraggio”.
La festa dei Santi ricorda tutti i santi i cui nomi non sono noti agli uomini, ma solo a Dio. Quegli uomini del popolo, quel popolo cui sempre Papa Francesco ci richiama, che hanno vissuto santamente proprio perché pacificati interiormente e perché capaci di portare pace nei rancori delle discordie familiari e nelle guerre.
Uno dei drammi del mondo moderno è quello di affidare la grande questione della pace unicamente agli specialisti, ai legislatori e ai diplomatici, dimenticando che solo i cuori pacificati di un popolo sono in grado di mostrare l’assurdità della violenza e della vendetta. Se ci fossero leggi giustissime, ma i cuori non fossero capaci di perdono, a niente varrebbero quelle leggi.
La continua elaborazione di nuove regole senza l’educazione dei cuori burocratizza ogni giorno di più la società, rendendo sempre più difficile operare creativamente nel legaccio delle infinite norme. Si pensi alla scuola, dove è evidente che solo una rinnovata autorevolezza dei docenti potrà opporsi al bullismo, mentre l’intervento continuo di “esperti” esterni finisce per indebolire il compito proprio dei professori che hanno la vocazione di guidare le anime degli studenti al bene.
Tommaso Moro che inventò la parola “utopia”, nella sua famosa opera scrive provocatoriamente che gli utopiani “schierano in guerra la moglie a fianco del marito e così i figli e i parenti”, in maniera da desiderare una pace immediata e immediate trattative per non perdere le persone che amano. L’idea è ovviamente un’ipotesi ‘per assurdo’ utilizzata dal santo per indicare che la pace è un bene supremo.