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“È triste dover ‘celebrare’ questi anniversari. È triste perché il cambiamento che certamente c’è stato, non va nella direzione che già Romano Guardini suggeriva e cioè quella di incrementare la civiltà della verità e dell’amore. Non mi sembra che in questo anno abbiamo fatto grandi passi in questa direzione”.

 

 

 

Esordisce così, con queste parole cariche di dolore, mons. Paolo Pezzi, arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi russi, al quale abbiamo chiesto una riflessione sull’anniversario dell’inizio il 24 febbraio 2022 della guerra in Ucraina, che quest’anno coincide con l’inizio del tempo di Quaresima.

 

Ad un anno di inutili tentativi diplomatici, la parola - anche in questi giorni - è sempre più spesso quelle delle armi. Quale via, se c’è, occorre percorrere per dare una chance alla pace?

La via delle armi purtroppo è quella più consona al cuore malato di odio, di rivendicazione, di pretesa, di potere. E questo cuore deve essere liberato, deve essere sanato. Quindi la via da percorrere perché possa esserci una chance per la pace è innanzitutto quella di riconoscere la propria umanità e la propria inclinazione al male non necessariamente come un segno di debolezza ma al contrario come il riconoscimento che da soli e puntando solo su noi stessi non facciamo che allargare il male mentre invece rivolgendoci a Colui che ha vinto il Male, possiamo realmente costruire qualcosa di buono per tutti.

 

Cosa chiede ai leader politici? Ai presidenti dell’Ucraina e della Federazione Russa ma anche alla Unione europea?
Penso sia necessario aggiungere anche i leader degli Stati Uniti dato il forte coinvolgimento. Direi che occorre riscoprire le proprie radici ebraico cristiane. Dobbiamo tornare a dare spazio a Dio nella nostra vita quotidiana. Chissà che in questo tempo di Quaresima che cominciamo, non ci sia la possibilità di comprendere che la Croce non è uno scandalo, che l’apparente sconfitta è in realtà una vittoria per tutta l’umanità, che la pace non va preparata con le armi ma va preparata con la conversione dei cuori.

 

Quale ruolo, in questo anno di guerra, hanno avuto il Papa e la diplomazia vaticana?

Il ruolo del Papa e della diplomazia vaticana sono enormi non solo su un piano spirituale ma anche su un piano storico. Per una semplice ragione: oggi il Papa e il Vaticano sono l’unica realtà credibile, soprattutto nei conflitti. Lo abbiamo già visto, in Medio Oriente, in Africa, anche in Asia. E quindi questo ruolo è decisivo. A questo va aggiunto che c’è una stima verso il Papa e la diplomazia vaticana il cui impegno non è visto come una forma di scaltrezza ma come una sincerità volta a raggiungere degli scopi, in questo caso, la pace, che almeno nella convinzione del Papa, è un bene per tutti.

 

Ma lei ci crede nella pace?

Io ci credo nella pace. Ogni giorno quando celebro la messa mi colpisce che nel ricordo della pace, sono chiamato a credere nella pace, ma soprattutto sono chiamato a riconoscere questa pace già presente in Cristo crocifisso e risorto. Gesù dice: vi do la mia pace. Non la pace del mondo. Io credo in questa pace, nella pace che non può dare un uomo perché è l’uomo che deve essere pacificato ma nella pace che può dare Gesù, che è il pacificatore.

 

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