0
0
0
s2sdefault

Lungo la navata destra della basilica paleocristiana di Santa Prassede, accanto allo scintillante e magnifico sacello di San Zenone, si apre una piccola cappella dove, dentro un reliquiario a forma di tempietto dorato, opera in stile Art Nouveau dell’artista Duilio Cambellotti e datato al 1898, è esposta una colonnina di pietra bianca e nera. In essa sarebbe stata riconosciuta la colonna alla quale fu legato Cristo per la flagellazione.

 

 

 

Un singolare elemento architettonico

Alta solo 63 cm, è leggermente rastremata, misura circa 40 cm di diametro alla base. La pietra è un tipo di granito, il gabbro diorite, a grossi cristalli bianchi, proveniente dalla parte settentrionale del Deserto orientale egiziano. Si tratta di un luogo lontano, impervio e desertico. Con probabilità i cavatori appartenevano alle classi sociali più povere, i damnati, gettati senza speranza a lavorare arrampicati su pareti verticali. Il trasporto dei blocchi era lungo e difficile e difficile era anche lavorare questa pietra, benché molto pregiata. La sua importazione a Roma avviene soprattutto in periodo Giulio Claudio, cioè nel I secolo d. C. La forma della colonnetta farebbe pensare a un trapezoforo, sostegno di un tavolo, oppure di un labrum, un bacile, ma ciò non esclude un suo riuso successivo. Anche quello di colonna per la flagellazione. 

 

La flagellazione, tortura crudele

Diversa dalla fustigazione, la flagellazione era un supplizio molto diffuso nell’antica Roma, che si effettuava con il flagrum, una frusta con dei terminali acuminati che laceravano le carni. Ogni domus, casa signorile, ricorda Cicerone, aveva una colonna alla quale legare e punire i propri schiavi. Sappiamo anche che la flagellazione precedeva sempre la pena capitale, soprattutto la crocifissione. Nei Vangeli non si fa mai accenno ad alcuna colonna, ma tre parlano concordemente e in modo inequivocabile, per Cristo, di flagellazione (Mc 15, 15; Mt 27, 26, Gv 19, 1), mentre Luca fa riferimento a una generica punizione (Lc 23, 22).

La prima testimone

La prima a parlarne fu Egeria nel suo Itinerarium, nel 383, durante la funzione del Venerdì Santo, a Gerusalemme: “Non è ancora sorto il sole; dopo il congedo tutti di slancio vanno a Sion, a pregare presso la colonna della flagellazione”. Il luogo di cui parla Egeria, il  monte Sion, corrisponde al luogo dove sorge la chiesa degli Apostoli.

La colonna a Roma

Secoli dopo, la colonna sarebbe stata portata da Gerusalemme a Roma dal card. Giovanni Colonna, durante la V Crociata, nel 1223. Non sfuggirà che il cognome del legato pontificio in Oriente è lo stesso della reliquia e può essere letta in entrambi i modi: la prova che si tratti di un’invenzione, un artificio per guadagnarsi la benevolenza di Papa Onorio III o, al contrario, un dono provvidenziale, come lui stesso riteneva. La colonna fu posta nella basilica di Santa Prassede della quale era titolare il porporato. La solennità della colonna fu approvata dalla Santa Sede e celebrata nella quarta domenica di Quaresima. Nel tempo sembra che l’anello di ferro che stava ancorato sulla sommità, per far passare la corda e legare i polsi, fosse stato donato nel 1240 al re di Francia San Luigi IX. Nel 1585 Papa Sisto V donò una scheggia della colonna agli abitanti della città di Padova.

L'annosa questione sull'originalità delle reliquie

Le obiezioni circa l'autenticità o meno della colonna partono dall’altezza ridotta della colonna, come si è detto 63 cm, che avrebbe costretto il condannato a subire il supplizio assumendo una postura innaturale. Ma proprio questo particolare la rende plausibile: i colpi della flagellazione non dovevano toccare gli organi vitali perché questo avrebbe favorito il rischio di morte. Ad esempio, non si doveva ferire l’area del cuore. Legato a un supporto così basso, il prigioniero era costretto a stare curvo in avanti evitando così di esporre ai colpi la parte del corpo da preservare. Sotto questo aspetto, la colonna di Santa Prassede avrebbe un’altezza coerente.

La colonna di Santa Prassede nell’arte

L’iconografia particolarmente drammatica e crudele della flagellazione di Cristo è assai diffusa e con essa si sono misurati moltissimi artisti, dai minori ai più grandi, basti pensare a Piero della Francesca, fino a Bramante e Caravaggio.

La colonna è sempre alta e slanciata, coronata da un capitello di tipo antico oppure una statua. Oppure immaginata come se proseguisse oltre i contorni del dipinto, svettando verso l’alto, come nel caso di Antonello da Messina. La colonna riassume in sé l’intero mondo pagano. La figura di Cristo, con il suo sacrificio, ne è il contraltare, il riscatto.

Invece la forma leggermente troncoconica uguale a quella di Santa Prassede, oltre che rintracciarla in alcuni affreschi della basilica dove è custodita, come nell’affresco del pittore fiorentino Agostino Ciampelli, artista della Controriforma, si trova anche altrove, come tra gli angeli di Ponte Sant’Angelo con gli strumenti della Passione. È uno dei più belli, tiene tra le braccia la colonna di Santa Prassede. Sulla base della statua l’emblematica iscrizione: Tronus meus in columna, “il mio trono è su una colonna” (Sir 24, 7). Questa scultura è di Antonio Raggi, eseguita su disegno del Bernini del quale era collaboratore e allievo.

 

 

Antonio Raggi, su disegno del Bernini, Angelo con la colonna della flagellazione, 1669, Ponte Sant'Angelo

 

Dal XVII secolo nell'iconografia della flagellazione si diffonde grandemente la forma a rocchetto della colonnina romana, segno della diffusione della sua devozione anche oltre l’Urbe, presso diversi artisti toscani ma anche veneti e di altre zone. Ancora in particolare, in un dipinto nella Badia Fiesolana, un artista anonimo fioretino seicentesco non tralascia di raffigurare minuziosamente anche i caratteristici cristalli bianchi sul fondo nero della colonna.

 

 

Anonimo fiorentino, Flagellazione di Cristo, XVII secolo, Badia Fiesolana (Firenze) ©Fondazione Zeri

 

Il significato della reliquia

La colonna è un oggetto che non può dire più di quello che è possibile. Non è un’iscrizione come il Titulus Crucis e ancora di più non è la mappa dettagliata della Sindone. È però un elemento che si inserisce in modo concorde nel racconto della Passione. La basilica di Santa Prassede è legata alla vita della omonima fanciulla vissuta nel II secolo, che si prodigò per nascondere i cristiani perseguitati dando loro sepoltura. Secondo la tradizione, il sangue dei martiri fu da lei asciugato con una spugna e raccolto nel pozzo che si trova al centro della chiesa, nel punto in cui vi è un disco di porfido.

La colonna della flagellazione, quindi, riassume in sé il significato di testimonianza viva di Cristo e della sua Passione nella quale si rispecchia il sacrificio dei martiri. Il gran numero di reliquie conservate nella basilica sembra rievocare questo legame. Il culto della colonna di Santa Prassede non si lega a un’evidenza storica materiale, ma è memoria reale della storia.

 

 

Francesco Gai, Gesù legato alla colonna (1889), Basilica di santa Prassede

 

Altre colonne della flagellazione

La colonna romana non è l’unica ritenuta della flagellazione. Una seconda si trova a Gerusalemme, nella basilica del Santo Sepolcro, ricordata da un pellegrino anonimo di Bordeaux in uno scritto datato al 333, mentre san Cirillo di Gerusalemme la ricorda in una catechesi del 348. Alcuni studi cercano di accordare entrambe le tradizioni facendo riferimento a due distinte flagellazioni di Cristo: la prima nel pretorio con Pilato, la seconda nel palazzo di Caifa. Ancora altre due colonne sono ritenute quelle della flagellazione: a Istanbul e nella basilica del Santo Sepolcro a Bologna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Forum Famiglie Puglia