“Preoccupa fare di cose così delicate, che riguardano la vita delle persone, un motivo di propaganda o di slogan”.
Così mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha risposto alle domande dei giornalisti sulla registrazione all’anagrafe dei figli delle coppie omosessuali, durante la conferenza stampa di presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei, svoltosi fino a ieri a Roma.
“Devono esserci discussioni per strumenti giuridici più adeguati - ha detto Baturi -, ma ciò che preoccupa è fare di cose così delicate, che riguardano la vita delle persone, motivo di propaganda o di slogan”. “Occorre adottare strumenti più prudenti per dare dignità alle persone”, l’invito del segretario generale della Cei: “Se invece si usano strappi per imporre una visione, si rischia di dimenticare la concretezza che riguarda le vite umane”.
“Il tema del riconoscimento dei figli di coppie omosessuali non è sovrapponibile alla pratica della maternità surrogata”, ha precisato inoltre Baturi, facendo notare che “gran parte di tali pratiche riguardano coppie eterosessuali”. Interpellato sull’utero in affitto, il segretario generale della Cei ha definito tale pratica “inaccettabile, perché con essa, come ha detto il Papa, si rischia la mercificazione della donna, soprattutto delle donne più povere, e di trasformare il figlio in un oggetto di un contratto. Ciò non corrisponde all’idea di maternità e di paternità accolte come un dono, che caratterizza la visione cristiana. Su questo tema c’è stata una condivisione dei vescovi durante il Consiglio permanente (LEGGI IL COMUNICATO FINALE), sulla scia delle parole inequivoche dette dal Papa”.