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“Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana”.

 

 

Parte dal “tracciato” delle parole di Papa Francesco “La vita si fa storia”, la proposta di riflessione e di approfondimento - raccolta in un volume edito da Scholé, a cura di Vincenzo Corrado e Pier Cesare Rivoltella - avanzata dall’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali (Ucs) della Cei e dal Cremit (Centro di ricerca sull’educazione ai media all’innovazione e alla tecnologia). L’iniziativa editoriale, dal 2019, si arricchisce anche grazie all’impegno dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana) e intende stimolare gli operatori della comunicazione e gli educatori in relazione alle suggestioni che il Santo Padre ci propone nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali - pubblicato integralmente - in programma quest’anno il 24 maggio sul tema: “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2).

Dire l’indicibile. “I testimoni diretti, forse più di altri operatori dell’informazione e della conoscenza, hanno il compito e la responsabilità di provare a dire l’indicibile”, scrive la senatrice Liliana Segre, a cui è affidato il primo commento alle parole di Francesco: “E possono farlo proprio in ragione dell’autorevolezza che viene loro dall’esperienza diretta, dall’essere prova vivente di quanto pare impossibile a dirsi e spiegarsi. Certo resterà sempre uno scarto fra la parola e la realtà, fra il dire e l’indicibile, uno scarto che forse neanche l’esperienza diretta potrà mai colmare, tanto più per il tempo in cui testimoni non ve ne saranno più”.

C’è racconto e racconto. “Papa Francesco ha il coraggio di dire apertamente che c’è racconto e racconto”, osserva il teologo e artista Padre Marko Ivan Rupnik, autore anche della copertina del libro, in esclusiva: “Non ogni racconto è buono. Oggi, nella cultura contemporanea, siamo talmente vulnerabili attraverso i sensi a ciò che colpisce immediatamente, a ciò che ci pervade all’istante, a ciò che può captare tutta la nostra esistenza, riempirla con sensazioni mai provate, e siamo forse impoveriti nel gusto della vita, quella che riempie l’uomo dissetandolo per sempre”.

Il balsamo della memoria. “Per i comunicatori la memoria è l’unico criterio che permette di sfuggire all’assolutizzazione della novità”, sostiene Vincenzo Corrado, direttore dell’Ucs: “Fermo restando che ‘dare l’ultima notizia’ - come si dice nel gergo giornalistico - è prioritario per qualsiasi organo informativo, occorre scongiurare il pericolo di una ‘dittatura del presente’. L’istantaneità dei messaggi fagocita la tessitura del messaggio, di quel senso che aiuta a comprendere i fatti, di quel senso che emerge in ciò che avviene e che aiuta nella comprensione. Non è una demonizzazione della tecnologia, ma una presa di coscienza per una comunicazione pensata e che faccia pensare”.

Denunciare il brutto e scoprire il bello. “Non sempre ci rendiamo conto di quanto importante sia il ruolo della comunicazione nell’essere strumenti di comprensione o di fraintendimento, nel costruire o nel distruggere una consapevolezza responsabile, nel nutrire o nel mal-nutrire le nostre identità in divenire”. A lanciare il grido d’allarme è Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede, secondo il quale “a ognuno è richiesta questa capacità di vedere e di raccontare. Di denunciare il brutto e di scoprire il bello. Di trovare un riscatto anche al dolore, alla sofferenza; una prospettiva a ciò che appare inspiegabile. E di esprimere questo racconto con le parole, con le immagini, con la musica; di farlo vivere e respirare e crescere anche nell’arte, nel cinema, nella fiction. Per certi versi anche di più”.

Narrare il bene. “La narrazione è un bisogno strutturale dell’uomo”, sostiene Pier Cesare Rivoltella: “Saper narrare comporta sapienza, discernimento, coraggio e pazienza; occorre imparare a contrapporre racconti di bene ai cattivi racconti; raccontare e raccontarsi significa obbedire al dovere della testimonianza”.

 

scholè

 

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