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“Il Signore ci ha accolti nel suo cuore”. È una delle antifone della solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù a rivelarci la bellezza del sacerdozio ministeriale e di una vocazione che si configura sì come privilegio, ma unicamente come privilegio d’amore!

 

 

Si espresse così il monaco Bruno di Querfurt, che usa queste parole per descrivere la sua amicizia con il padre fondatore dell’Ordine Camaldolese San Romualdo: “Era mio privilegio essere oggetto del suo amore e sentirmi chiamare fratello mio”. Questa spirituale confidenza rievoca quella rivolta dal Maestro ai discepoli nel cenacolo: “Non vi chiamo più servi, ma amici” (Gv 15,15). Egli scelse, infatti, alcuni tra i fratelli con “affetto di predilezione” perché rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso (Prefazio dell’Ordine).

La giornata di santificazione del clero, che annualmente celebriamo nella ricorrenza del Sacro Cuore, vuole far risuonare nell’intimo cuore di ogni presbitero le parole di Cristo: “Voi siete miei amici” (Gv 15,14) giacché esse racchiudono l’intero programma di una vita sacerdotale, lungo la quale, ci prende ogni giorno per mano e ci dice: “Non temere! Io sono con te. Non ti lascio, tu non lasciare me” (Benedetto XVI, Messa crismale 2006).

Eppure questo privilegio d’amore “non è per noi, ma per gli altri e per tutta la Chiesa” come affermò San Paolo VI nel cinquantesimo anniversario della propria ordinazione presbiterale (17 maggio 1970). Nella Chiesa, infatti, ogni presbitero deve irradiare la propria personale testimonianza di santità, come luce di santificazione per i fratelli che guida. 

Nel discorso preparato dal Santo Padre Francesco per la liturgia penitenziale con il clero romano (27 febbraio 2020), individuiamo almeno due note di questa santità del prete che tocca i nodi salienti della sua amicizia con Cristo e del suo ministero pastorale. Innanzitutto c’è la distinzione tra aspettative e speranza: “L’aspettativa nasce quando passiamo la vita a salvarci la vita. La speranza si regge su un’alleanza”. Il cuore di un presbitero dev’essere magnanimo nel donarsi agli altri, e per questo capace anche di dire coraggiosamente: è finito il tempo dei sogni, dei miei sogni! Questa è l’ora della grande volontà salvifica di Dio. Dalle ambizioni personali nasce la competizione che spesso esige dei riconoscimenti e ci allontana dalla dimensione vocazionale del nostro ministero. Occorre piuttosto passare dall’autocandidatura che struttura la vita sul per-sé. all’autodonazione che apre l’esistenza al per-voi-e-per-tutti.

La seconda cosa che conviene riprendere dal discorso del Papa è il rapporto di comunione con il vescovo. Qui, dice Francesco: “L’adesione alle iniziative rischia di diventare il metro della comunione. Ma essa non coincide sempre con l’unanimità delle opinioni. Né si può pretendere che la comunione sia unidirezionale. Non è un problema di democrazia, ma di paternità. La santità del prete è direttamente proporzionale alla cura che il vescovo ha di lui, in una reciprocità che tiene equamente insieme, appunto, paternità e figliolanza, autorità del padre-vescovo e carisma del figlio-presbitero. Le derive dell’autoritarismo e della disobbedienza non santificano né l’uno, né l’altro.

Come il Cuore di Cristo, così quello del sacerdote: “grande e teso a contenere dentro di sé le proporzioni della Chiesa, le dimensioni del mondo; grande e forte ad amare tutti, a tutti servire, per tutti soffrire; grande e forte a sostenere ogni tentazione, ogni prova, ogni noia, ogni stanchezza, ogni delusione, ogni offesa, un cuore grande, forte, costante, quando occorre fino al sacrificio, solo beato di palpitare col cuore di Cristo, e di compiere umilmente, fedelmente, virilmente la divina volontà”.

 

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