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“…far prevalere sempre il bene sul male, aiutarci sinceramente nelle difficoltà della vita e sentirci veramente tutti fratelli, perché la fratellanza è il nuovo nome della pace: o ci salviamo insieme o ci danniamo insieme. A noi questa grande responsabilità”.

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In piazza Duomo a Como, ieri sera, c’era un silenzio carico di commozione, di affetto, amore e non di rabbia, mentre il vescovo Oscar Cantoni pronunciava queste parole. Di fronte a lui centinaia di persone, tante quante la cattedrale, in tempo di Covid, non è riuscita a contenere. Un messaggio rivolto non solo ai presenti, oltre un migliaio, ma all’intera città che nel giorno dei funerali (la cui data è ancora da definire) si fermerà per il lutto cittadino. Tra la folla i fratelli di questo prete, 51enne, schivo ma al tempo stesso sempre sorridente. Chi portava una candela, chi dei fiori. Il volto di un popolo di nazionalità, estrazione sociale, appartenenza religiosa diversa. Tutti insieme, commossi, per dire grazie al quel prete “mite e umile”, allergico ai primi posti, capace di dare la vita ogni giorno.

“Come Maria - aveva detto poco prima il vescovo -, che il vangelo di Giovanni presenta mentre ‘stava presso la croce di Gesù’, così don Roberto non è scappato davanti alle tante croci dei fratelli, non ha fatto grossi discorsi suoi poveri, non li ha distinti tra buoni e meno buoni, tra i nostri o gli stranieri, tra cristiani o di altre confessioni, ma si è prodigato con amore in totale umiltà, senza clamore e senza riconoscimenti di sorta”. I più poveri, senza tetto e spesso senza affetti, trovavano in lui un punto di riferimento, un padre. Ma c’erano anche tanti amici che condividevano con lui l’impegno, i confratelli sacerdoti e tanti comaschi che hanno sentito parlare di quel prete capace di una vicinanza umana rara.

“Amava agire in sordina – ha ricordato ancora il vescovo -, quasi di nascosto, in piena discrezione.

Ricordo don Roberto come un prete felice. Felice di amare Gesù servendolo nei poveri, nei profughi, nei senza tetto, nei carcerati, nelle prostitute. Nei poveri riconosceva ‘la carne viva’ di Cristo, a cui si era donato attraverso uno speciale ministero che potremmo definire ‘di carità spicciola’, indirizzato alle persone singolarmente prese, a cui offriva tempo, energie, delicate attenzioni e premure, soprattutto un grande cuore”.

“Questa sera - ha detto ancora mons. Cantoni - lo piangono anche i tanti suoi assistiti, di nazionalità, culture, religioni diverse. Nutrivano un grande rispetto e una profonda riconoscenza per lui, che classificavano facilmente come un padre, che aveva sempre tempo per ciascuno di loro. Nei giorni scorsi ho additato suor Maria Laura Mainetti e Padre Giuseppe Ambrosoli, i nostri due prossimi beati, come vite esemplari di discepoli, testimoni della misericordia di Dio. Oggi se ne aggiunge un altro, non meno valido e di estrema attualità, don Roberto. Egli riflette, dentro il clima disumano che in questo periodo spesso respiriamo, il segno vivo della tenerezza di Dio padre”. Al termine della celebrazione alcuni giovani hanno proseguito la preghiera in una veglia spontanea in piazza. Su un cartello posto a terra hanno scritto: “Ma se il seme non muore non può dare frutto. E chi crede non muore, vive dappertutto. Don Roberto”.

 

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