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Anche le Chiese cattoliche in Europa hanno pagato un prezzo altissimo a causa della pandemia: sono 400 i preti e gli anziani religiosi che hanno perso la vita nei mesi in cui il Coronavirus ha attraversato con violenza l’Europa, seminando malattia e morte.

 

 

Una cifra approssimativa e in difetto che emerge da un corposo Rapporto redatto dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) per fare il punto su come la Chiesa ha reagito durante la pandemia da Covid-19. Dai Paesi scandinavi alla Grecia, dall’Inghilterra alla Russia: il Rapporto è composto dalle schede compilate da 38 Conferenze episcopali del continente. Tra i Paesi che hanno pagato il tributo più alto di vittime tra il clero, ci cono i Paesi Bassi con 181 morti (religiosi anziani), l’Italia con 121 e la Spagna con 70. Emerge poi che tra i sacerdoti, in Polonia ci sono state 10 vittime, in Belgio 5, in Ucraina 5, in Irlanda 3, in Austria 4, e un morto in Lituania. Sono state diverse, da Paese a Paese, le date di inizio e fine delle restrizioni delle celebrazioni liturgiche. Ciò che però accomuna tutte le singole Conferenze episcopali europee - dicono al Ccee - è stato il dialogo costante e la stretta collaborazione che le Chiese hanno avuto con i rispettivi governi e le autorità competenti. La chiusura degli edifici di culto durante il lockdown è stata presa come “un atto di carità compiuto per assicurare prima di tutto la salute dei cittadini”. Le misure previste per la loro riapertura - dall’uso delle mascherine, al distanziamento, l’accesso ai banchi, la distribuzione della comunione - fanno sì che “oggi le Chiese in tutta Europa siano luoghi sicuri e sanificati”.

I vescovi hanno discusso molto attentamente sulle conseguenze che la pandemia sta lasciando nella vita delle loro Chiese. Nel suo contributo, la Conferenza episcopale italiana scrive: Abbiamo imparato, almeno in parte, ad essere attenti per davvero alle cose che ci succedono. Tanta generosità è venuta fuori, tante piccole storie di “eroi” che hanno permesso a tutti di non perdere la speranza”.

Le Chiese guardano al futuro e si interrogano sulle sfide che già si intravedono. Nel suo intervento riassuntivo, Padre Pavel Ambros, della Facoltà teologica di Olomouc in Repubblica Ceca, osserva: “Terminate le drastiche restrizioni, molte persone hanno cominciato a dire di non aver bisogno di andare a Messa” e a chiedere di consentire la partecipazione della Santa Messa attraverso la trasmissione in diretta, “non solo come eccezione ma come buona pratica”. Attenzione però: “Se le persone si abituano alla consegna a domicilio, adatteranno mentalmente questo modello ai ‘servizi’ religiosi per soddisfare i propri bisogni. È come comprare una pizza e portarla a casa, dove la tiriamo subito fuori dalla scatola. Potrebbe facilmente accadere che le persone vogliano che un prete consacri l’ostia per il loro uso domestico. Questo atteggiamento interiore di per sé è premonitore ed ha bisogno di essere fermato in tempo”.

 

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