La Chiesa, come insegna il Concilio Vaticano II, è una realtà complessa, in cui gli elementi carismatici sono uniti a quelli istituzionali, in modo tale che essa possa pellegrinare nel mondo e riconoscere sempre come il suo compimento pieno si realizzerà solo in Cielo.
Certamente, rientra tra gli elementi organizzativi e di governo della Chiesa, la struttura del Collegio cardinalizio, che, nel corso dei secoli, si è adeguato alle necessità pastorali e alla missione del Romano Pontefice. Pur non essendo un’istituzione apostolica, la storia del Collegio cardinalizio è antichissima.
Nei primi secoli, il Papa era assistito nel governo della Chiesa di Roma dal gruppo dei presbiteri, i quali lo coadiuvavano, e quando era necessario, lo sostituivano, nel ministero liturgico e nella predicazione, nonché dai diaconi addetti anch’essi ai servizi liturgici, ma soprattutto all’amministrazione dei beni temporali e all’esercizio della carità. La qualifica di cardinale (da «cardine»), fu riservata, nel corso del tempo, proprio al clero della Chiesa romana, «cardine» della cristianità. Oltre ai presbiteri e ai diaconi anche i sette vescovi, le cui diocesi circondavano tutt’intorno la diocesi romana, dette «diocesi suburbicarie» (ossia di Albano, Frascati, Palestrina, Porto e S. Rufina, Sabina e Poggio Mirteto, Velletri e Ostia), almeno dal sec. V presero a prestare un regolare servizio liturgico presso la cattedrale del Papa, la Basilica Lateranense. Pertanto, anche loro, in quanto «incardinati» in Roma, furono esplicitamente chiamati cardinali, fin dal sec. VIII.
Si costituirono quindi tre gruppi abbastanza definiti (vescovi, preti, diaconi), il cui essere “cardinali” consisteva principalmente nel prestare assistenza al vescovo di Roma nelle più solenni celebrazioni liturgiche. Ancora oggi, i cardinali, all’interno del Collegio cardinalizio, conservano i titoli di cardinali-diaconi, cardinali-presbiteri e cardinali-vescovi, proprio in memoria di tale storica tripartizione. Il titolo di cardinale presbitero ebbe origine fin dai tempi di Papa Cleto (I secolo), allorquando 25 presbiteri coadiuvavano il Papa nel governo della comunità cristiana. Sette invece erano le diaconie, cioè le “zone” della diocesi di Roma, che venivano prese in carico dai diaconi per la cura dei poveri, da cui nacquero i cardinali diaconi. Infine, dalle diocesi suburbicarie veniva il titolo di cardinali vescovi.
Mentre all’inizio furono i presbiteri romani ad eleggere il loro vescovo, successivamente fu riconosciuto definitivamente solo ai vescovi-cardinali il privilegio dell’elezione del Papa. Ciò avvenne nel 1059 con un decreto di Nicolò II. I cardinali-vescovi dovevano raggiungere l’unanimità. Nel 1179 Alessandro III conferì l’elettorato attivo anche ai presbiteri-cardinali e ai diaconi-cardinali, che eleggevano il Papa dopo una votazione che garantisse la maggioranza qualificata dei due terzi. Dunque, da quell’anno in avanti, la distinzione tra i tre ordini cardinalizi diventò una semplice articolazione interna di un collegio unitario.
Questo Collegio subì un’ulteriore trasformazione nel momento in cui furono chiamati a farvi parte anche prelati non romani, la cui serie si apre nel 1057 con Fredericus Lotharingius, abate di Montecassino, ad opera di Vittore II, decretando così la fine della fase diocesano-romana del cardinalato. Infatti, a partire dal secolo XII, il Papa iniziò a nominare cardinali, anche prelati residenti fuori dalla diocesi di Roma. Nelle celebrazioni e nelle funzioni di governo, fin dal medesimo secolo, i cardinali cominciarono a precedere gli arcivescovi e i vescovi e, a partire dal XV secolo, anche i Patriarchi furono posti dietro i Cardinali, i quali, anche se semplici sacerdoti, avevano sempre diritto di voto nei concili.
Dal 1150 circa, il Collegio dei cardinali si strutturò e venne guidato da un decano, che era il vescovo di Ostia, e aveva anche un camerlengo, nominato per l’amministrazione dei beni. Mentre dal 1200 fino al 1400 il numero dei cardinali era oscillante, ma non superava generalmente le trenta unità, il Papa Sisto V volle imprimere un’importante riforma al Collegio. Infatti, nel 1586 con la Costituzione apostolica Postquam Verus, fissò in 70 il numero delle porpore e stabilì anche la tripartizione del Collegio cardinalizio (6 cardinali vescovi, 50 cardinali presbiteri e 14 cardinali diaconi). Significativo era il fatto che il numero settanta avesse come riferimento il gruppo dei «settanta anziani» che coadiuvavano Mosè nella guida dell’antico popolo di Israele (cfr. Num 11,16). Questa istituzione ecclesiale assunse una sua struttura definitiva nella regolamentazione data dal Codice del 1917. I cardinali appartenevano alle Congregazioni romane, coadiuvavano il Papa nel governo della Chiesa universale, potevano svolgere compiti di legazione, e si riunivano con il Papa nel “Concistoro” (dal latino consistorium, cioè assemblea), dove trattavano le questioni più rilevanti.
Proprio all’interno del Concistoro venivano creati solennemente dal Papa. Il rito avveniva in tre momenti distinti: nel “concistoro segreto” il Papa annunciava ai soli membri del Collegio cardinalizio l’elenco dei nuovi eletti, nel “concistoro pubblico”, i cardinali ricevevano la berretta e venivano così creati, mentre, con l’imposizione del galero rosso (cioè il cappello cardinalizio) che poteva avvenire anche successivamente, terminavano le cerimonie cardinalizie. Il “galero” ormai praticamente scomparso, è rimasto però nell’araldica, rappresentando precisamente lo stemma di ogni cardinale.
Se, nel corso del secondo millennio, il Collegio cardinalizio era legato essenzialmente alla figura del Papa e la maggior parte dei suoi membri vivevano con lui, a partire dalla fine del 1800, il Papa iniziò a internazionalizzare il Collegio. Durante il pontificato di Pio IX vennero nominati i primi cardinali provenienti dalle Americhe, e, alla fine del medesimo secolo, i porporati non venivano scelti più dalle famiglie nobili, ma da tutti i ceti sociali. Diminuì anche il numero dei cardinali che non erano stati ordinati, legati soprattutto ai numerosi incarichi amministrativi e diplomatici dello Stato Pontificio. Nel 1918 Benedetto XV decretò che tutti i cardinali dovevano essere ordinati sacerdoti, così che l’ultimo cardinale a essere semplicemente un diacono fu il card. Teodolfo Mertel, morto nel 1899.
Fu Giovanni XXIII ad apportare alcune modifiche significative allo statuto giuridico del cardinalato: anzitutto decise di superare il numero massimo fissato da Sisto V. Successivamente assegnò alle diocesi suburbicarie vescovi propri, diversi dai cardinali-vescovi, i quali conserveranno solo il titolo ma non più l’autorità sulle diocesi stesse. Infine decise che tutti i membri del collegio cardinalizio avrebbero dovuto ricevere la consacrazione episcopale a motivo del carattere genuinamente ecclesiastico dell’attività del Collegio, nonché dell’impegno nel servizio delle anime e del Sommo Pontefice nel governo universale e in vista della parificazione di tutti i componenti del Sacro Collegio dei cardinali in una stessa dignità di ordine sacro, di episcopale sacramento.
In realtà, anche successivamente i Papi hanno continuato a creare cardinali dei semplici sacerdoti, che hanno dispensato dall’essere consacrati Vescovi, prima dell’imposizione della berretta cardinalizia.
Fu Paolo VI a intervenire nel 1970 e poi nel 1975 per fissare ulteriormente le regole per l’elezione del Papa, tra le quali quella che ribadiva che il diritto di eleggere il vescovo di Roma spettava unicamente ai cardinali di Santa Romana Chiesa, esclusi, a norma della legge precedentemente pubblicata, quelli che, all’ingresso in conclave avevano già compiuto l'80° anno di età. Il massimo numero dei cardinali elettori non doveva superare i 120.
I Papi successivi non hanno apportato importanti modifiche all’interno del Collegio, ma si sono preoccupati soprattutto di renderlo maggiormente internazionale.
Percorrendo così la storia del collegio cardinalizio si è potuto vedere la linea di sviluppo delle prerogative e dell’autorità dei cardinali: dapprima la partecipazione al servizio liturgico nella diocesi di Roma, poi la partecipazione al governo della medesima chiesa particolare, successivamente l’attribuzione della facoltà di eleggere il vescovo di Roma e infine la collaborazione col Papa nel governo della Chiesa universale. Attualmente è questo il compito principale di ogni cardinale, il cui abito rosso-porpora indica la speciale chiamata a rendere testimonianza al Signore e a essere in grado di offrire persino la sua vita per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime.
A questo compito sarà chiamato il futuro card. Marcello Semeraro: fedeltà al Papa e amore per la Chiesa universale alla quale offrirà in dono il suo nuovo servizio.