Non è il celebre architetto Emanuele Manieri, come sostenuto dalla storiografia, ad aver realizzato la porta maggiore della leccese chiesa di Sant’Angelo.
A realizzare l’opera furono i fratelli, Leonardo e Celestino Murra, il falegname Simone de Simone e l’artigiano Michele Pinto.
Manieri, in realtà non fornì nemmeno i disegni per quella porta, nonostante finora si sia sempre creduta una cosa completamente diversa.
La porta, nel suo genere uno dei pochi esempi ancora esistenti in Puglia e l’unico a Lecce, ha un originale rivestimento di lamine metalliche decorative, alcune delle quali riproducono motivi floreali, altre l’aquila bicipite, simbolo dei frati Agostiniani titolari della chiesa, altre infine la data di costruzione, cioè il 1750.
Gli storici sostengono, come evidenziato, che tale opera fu eseguita su disegno di Emanuele Manieri da Michele Pinto, che a sua volta ebbe l’incarico dai maestri falegnami Murra. La realtà non è, però, questa.
I fratelli Murra, prima di tutto, non erano falegnami ma Leonardo era “focillaro” e Celestino “armiere”. E poi, come si vedrà, i disegni non furono forniti dal Manieri.
Tutta la vicenda è ben descritta in due atti notarili, il primo dei quali fu rogato presso un notaio leccese il 20 gennaio 1753 e il secondo il giorno successivo, ma da un altro notaio sempre di Lecce.
Nel primo dei due atti, Michele Pinto dichiara di aver avuto l’incarico dai Murra “a lavorare le verzelle infiorate della porta maggiore della chiesa” di Sant’Angelo e in più afferma che Manieri fu interpellato dai frati del convento solo per seguire i lavori di fattura della porta come loro uomo di fiducia, tanto più che abitava proprio di fronte al convento.
Il Pinto dichiara, infine, che Manieri intervenne “solo per godere del lavoro che si faceva in detta porta”.
Nel secondo atto notarile, invece, il falegname Simone de Simone dichiara che egli lavorò con suoi discepoli alla costruzione della porta e in più a un “sepolcro nuovo di legnami”.
Manieri fornì i disegni solo per il sepolcro ligneo e controllò i lavori alla porta solo di rado perché fu spesso a Nardò o ammalato e, quando presente in cantiere, mai vi rimase per più di mezz’ora.
La dichiarazione del falegname fu confermata sotto giuramento da un altro testimone, Luigi Tursano, assiduo frequentatore della chiesa agostiniana.