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Passato il giorno delle emozioni forti, delle felicitazioni e degli auguri per l’ottimo esito del processo - l’assoluzione con formula piena, l’unica pronunciata dal Tribunale Vaticano -, per don Mauro Carlino la domenica d’Avvento, a pochi giorni dal Santo Natale, è trascorsa immersa nel suo ministero di parroco di Santa Croce.

 

 

 

Ma anche circondato dall’affetto della sua famiglia che insieme con lui ha sofferto e sperato nella giustizia in questi lunghi quattro anni. Il caso del palazzo di Londra, infatti, era scoppiato il 1° ottobre 2019 e don Mauro dopo aver svolto per molti anni il ruolo di segretario del Sostituto della Segreteria di Stato (prima al fianco del card. Becciu e poi dell’arcivescovo Peña Parra), poche settimane prima, il 31 luglio, era stato promosso a capo dell’Ufficio Informazione e Documentazione della Segreteria di Stato (LEGGI). L’inchiesta che fin dall’inizio ha suscitato un grande clamore, era poi sfociata nel processo conclusosi sabato scorso e la cui sentenza del collegio giudicante ha confermato l’innocenza e la correttezza dell’agire del monsignore leccese.

In tutti questi anni, Portalecce e lo stesso arcivescovo Michele Seccia, hanno scelto la via del silenzio, assistendo impotenti ad un terribile attacco mediatico che in più occasioni ha tratteggiato il profilo di don Mauro in maniera scandalistica: Chi potrà dimenticare titoli, foto, azzardi giornalistici su quotidiani e periodici? A Lecce, però, c’era grande fiducia nella giustizia e soprattutto nella verità dei fatti così come raccontati alle persone più vicine, dallo stesso sacerdote fin dal suo forzato ritorno in diocesi. Ma in Piazza Duomo mai un dubbio (LEGGI).

Oggi che l’incubo è passato mons. Carlino ha accettato di farsi intervistare in esclusiva da Portalecce di cui è prezioso collaboratore fin da quando il quotidiano online è nato.

 

Don Mauro, qual è stato il primo pensiero appena appreso sabato pomeriggio della sentenza di assoluzione?

Il mio primo pensiero è stato ringraziare il Signore e tutte quelle persone che hanno pregato per me, perché emergesse la verità. Sapevo che nel pomeriggio sarebbe arrivata la sentenza, ma ho affidato al Signore questo atto, rimettendomi alla sua volontà. Per scaricare la tensione che avevo nel cuore, ho voluto fare ciò che faccio abitualmente. Ho pregato al mattino e, dopo un matrimonio, sono andato allo stadio a vedere il Lecce. Solo dopo la partita, ho saputo della sentenza favorevole e ho pensato subito a mons. Ruppi, a don Ugo De Blasi e ai tanti intercessori a cui mi sono affidato e che hanno reso possibile il trionfo della verità.

 

 

Quali sono stati i momenti più difficili in questi anni di indagini e di processo?

Ho affrontato questo tempo con estrema fiducia nel Signore. Non nascondo che ci siano stati momenti difficili, suscitati dalla gravità e dalla assurdità delle accuse, amplificate dalle notizie di stampa, purtroppo incapaci di distinguere la verità dalle tante falsità. Mi ha molto confortato la vicinanza degli amici, il sostegno della famiglia e la paternità dell’arcivescovo Seccia e di tanti sacerdoti, che, conoscendomi, non hanno mai dubitato della mia onestà.

 

 

Quanto è stato difficile costruire una difesa davanti ad accuse false e infondate?

È stato un lavoro duro e quotidiano. Mi sono ritagliato alcune ore ogni pomeriggio per ricostruire i fatti, rivedere ogni carta e documento. Sapevo perfettamente di aver sempre agito in ubbidienza ai superiori, ma occorreva dimostrarlo. D’altronde, ho soltanto contribuito a risolvere un problema, con positivi risultati per la Santa Sede, senza mai agire né per interesse personale, né tantomeno per agevolare terzi. Grazie all'aiuto degli avvocati, Salvino Mondello, Agnese Camilli e Monica Giovenco, ho ricostruito tutte le mie giornate e rivisto ogni cosa. Sono stato sostenuto in questo da un caro amico, ingegnere informatico, Antonio Politi, con cui ho trascorso tantissimi giorni per dimostrare la falsità delle accuse, ribattere alle infondate ricostruzioni e dimostrare la mia innocenza. Ma tutto questo lavoro sarebbe stato inutile senza il sostegno del Signore e della preghiera dei semplici.

 

 

Don Mauro, come si riparte dopo anni di sofferenza e al termine di un processo finito come speravi?

Non si tratta di una ripartenza in quanto ho continuato a fare la volontà di Dio, in una situazione diversa e difficile, ma nel desiderio di servire il Signore assolvendo ai compiti che mi sono stati assegnati dal mio arcivescovo. Ho avuto la gioia di celebrare e pregare ogni mattina con le Suore Discepole di Gesù Eucaristico, di pregare con loro dopo la santa messa davanti all’Eucarestia. Ho seguito i ragazzini del settore giovanile del Lecce, accompagnandoli nel percorso di crescita e poi ho svolto il mio compito di segretario dell'arcivescovo con spirito di fedeltà e affetto. Ora certamente ho un fardello in meno da portare, ma so che ''tutto concorre al bene di coloro che amano Dio''.

 

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