Il vocabolario della guerra non ha eliminato nessuna delle sue più drammatiche espressioni: morte, distruzione, rifugiati, famiglia divise, bombardamenti.
Purtroppo, la guerra continua e la cifra assurda di questi giorni è quella dei 350mila soldati russi deceduti sul fronte, ma nulla di preciso si conosce su quanti siano i soldati ucraini deceduti, e poi il numero dei civili, dei bambini e il volume della devastazione del territorio e di tante strutture pubbliche e private. L’inverno non ha rallentato i ritmi della guerra, ma l’ha resa più aggressiva, perché si combatte a distanza ridotta ed il numero dei morti è più elevato.
Continua l’accoglienza dei rifugiati, il cui numero aumenta o diminuisce a seconda dei bombardamenti, della intensità della battaglia sul territorio e delle distruzioni, soprattutto di abitazioni. Però c’è stanchezza nella popolazione ucraina, da quasi settecento giorni in guerra e nel prossimo febbraio saranno ormai due anni.
L’accoglienza non è facile, perché ci sono da affrontare problematiche difficili, come i minori non accompagnati, le famiglie divise, la morte dei mariti in battaglia, la distruzione delle proprie abitazioni e perdita dei beni. Molte famiglie sono ormai ad un bivio e devono prendere delle decisioni: integrarsi in Moldavia, oppure andare per sempre in Europa o oltre oceano. Decisioni difficili, con nel cuore tanta sofferenza e solitudine.
La Fondazione Regina Pacis è impegnata fin dall’inizio del conflitto nella accoglienza, con attualmente due strutture anche se all’inizio erano quattro, e due centri di assistenza per la distribuzione di viveri, vestiario, medicinali ed aiuti economici. Un sistema non facile da gestire, ma che permette di assistere circa ottocento rifugiati, il cui impegno economico è ben comprensibile.
Si morirà anche il giorno di Natale, perché questa è la guerra. Una assurdità incompresa da chi dovrebbe avere il coraggio della pace.