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Un caffè e un simbolico “batticinque” per chiudere sugli ultimi dettagli: intesa più che salda. E Lecce regina della moda per una notte. Almeno.

 

 

Per l’arcivescovo Michele Seccia e la direttrice creativa di Dior, Maria Grazia Chiuri mezz’ora di colloquio privato, ieri nell’afosa domenica salentina nell’episcopio di Lecce e all’uscita solo due parole di sintesi perfetta: sinergia e speranza verso il 22 luglio.

Un nuovo inizio da incorniciare tra i propilei di Piazza Duomo e le due parole “magiche” – sinergia e speranza - per nulla inedite nel linguaggio consueto dell’arcivescovo che del “fare rete” (comunione, nel linguaggio cristiano) e della speranza - oltre che della gioia, messaggio chiaro e inciso nel suo stemma episcopale - ha fatto il “biglietto da visita” del suo ministero leccese. 

Pensieri incalzanti soprattutto nei mesi di lontananza forzata: a più riprese, Seccia ha insistito sulla necessità di non perdersi e di non confondere la distanza fisica con l’indifferenza sostanziale. Costruendo e consolidando, invece, la comunione pur restando chiusi in casa: #INSIEMENONOSTANTE era l’hashtag coniato dalla comunicazione della diocesi durante il lockdown.

E, una volta usciti dalla zona rossa dell’emergenza sanitaria, osservando le macerie sociali, mons. Seccia non si è più fermato: speranza senza fine. E se la “sua” piazza può tornare utile alla mission della rinascita, eccola. Perché la piazza è del popolo, nel senso più laico del termine: sono davvero poche, in Italia almeno, le piazze storiche e artisticamente rilevanti sulle quali non affacci un monumento sacro. Eppure sono agorà a tutti gli effetti.

E a chi favoleggia che addirittura mons. Ruppi quella notte “si rivolterà nella tomba” - che da sei mesi, grazie a Seccia (e a nessun altro), è collocata in cattedrale - è bene ricordare che se c’è un presule nella cronotassi dei vescovi di Lecce che per primo ha aperto la piazza agli spettacoli e al mondo, esso risponde al nome di Cosmo Francesco. Quella notte - se ne facciano una ragione i detrattori - continuerà a riposare in pace così come fa ormai da nove anni. Prima ad Alberobello e ora tra noi.

Sul valore assoluto della sinergia ha puntato molto, all’uscita dell’incontro di ieri, la salentina Maria Grazia Chiuri. Collaborazione stretta con il comune di Lecce e con la diocesi. Ma anche con le aziende del territorio: l’evento Dior, nel cuore e nella testa della Chiuri, dovrà essere anche l’occasione per dare quel tocco di eleganza e di internazionalizzazione al patrimonio più prezioso - tradizioni popolari e artigianato locale insieme ovviamente con le bellezze naturali e artistiche - per il quale il Salento ormai è famoso in tutto il mondo.

Le nostre luminarie ormai brillano in tutto il pianeta e la Notte della Taranta – con buona pace di chi non la sopporta - è tra i nostri prodotti d’esportazione più di successo: Dior non farà altro che concedere ad essi (e a tutto l’artigianato salentino) una fantastica notte da sogno e una vetrina da Oscar.

E a chi pensa che “sagra di paese” possa suonare come una delle peggiori offese per una sfilata di moda mondiale è bene ricordare che già Orsini del Balzo nel tardo ‘500 aveva aperto la cancellata del “cortile del vescovato” a La Fiera te lu panieri: la prima “sagra” era frequentata da mercanti di tutto il Regno. Ai giorni nostri, invece, è raro che turisti giunti nella nostra terra da ogni parte del mondo si risparmino nell’esprimere giudizi lusinghieri dopo le affollate sere d’estate trascorse gustando in piedi un piatto di “ciceri e tria” a Merine o una porzione di municeddhre a Cannole, magari accompagnati da un buon sorso di rosso a Carpignano. E comunque una “sagra di paese” in prima assoluta mondiale fino ad oggi non si era mai vista.

Saremo curiosi di andare a contare il numero delle persone che si saranno dovute “accontentare di una non meglio annunciata diretta streaming” dal momento che non c’è artista al mondo che non si “accontenti” del web per promuovere le sue creazioni: questione di visioni. La sfida è lanciata.

È vero il Covid-19 ha rovinato tutto. Ma - di necessità, virtù - se, e ancora se, di Lecce e di Piazza Duomo dovesse restare solo un pallido ricordo di una misera quinta (per la quale si è fatto esplicito accordo sul rispetto e la dignità e il decoro dei luoghi) per “modelle vestite in libertà”. E se la misera quinta dovesse andare a finire nelle copertine patinate di riviste specializzate per soli esperti del settore non ci sarà da buttare proprio nulla. Grasso che cola per una città ed una terra che mirano a "farsi belle" anche per quella fascia di cosiddetto “turismo d’elite” che da queste parti tarda ancora ad arrivare.

Se Dior ha bussato e Seccia ha aperto, bisognerebbe solo ringraziare.

 

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