Parto da una domanda aperta che l’arcivescovo ha rivolto a noi, Chiesa di Lecce, nel Messaggio alla città dell’altra sera: “Siamo davvero pronti ad educare i nostri ragazzi ai valori della libertà e della corresponsabilità?”.
Forse no! Non siamo pronti è la risposta più opportuna a questa riflessione che come chiesa non ci dovrebbe lasciar dormire la notte.
Perché non si tratta di incapacità, di limiti, si tratta di assenza di prontezza, celerità, scatto, slancio, atteggiamenti che sono propri di ogni appassionato annunciatore di Cristo. Tale riflessione, però, privata del suo contesto, farebbe nascere subito un atteggiamento di frustrazione e inadeguatezza; senza portare ad una consapevolezza che apra all’azione!
È necessario guardare oltre, dare sguardi ampi, che non si limitino a prendere coscienza dei problemi, provando a comprenderne le motivazioni, senza la pretesa di definitività e professionalità, ma condotti dal desiderio di riflessione di chi prova a lavorare con i giovani e con coloro che li formano.
C’è di sicuro una motivazione di carattere antropologico. La persona, nella società attuale, stenta a trovare il suo posto. In un momento di evidente fragilità, inoltre, il lockdown ha contribuito ad aumentare tali fragilità. E, come l’arcivescovo ha già avuto modo di evidenziare, la famiglia porta con sé questa sofferenza, collocandosi tra le istituzioni più ferite.
Con questa riflessione potremmo comprendere la fragilità che la stessa comunità ecclesiale (e non solo) sta vivendo: è dalla famiglia che nascono gli educatori di oggi, i giovani di oggi, i politici di oggi, ma anche il clero e l’episcopato di oggi. È necessario, quindi, focalizzare l’attenzione su questo mondo che sembra andare sempre più in una direzione completamente contraria a questa umanità.
Potremmo dire che c’è anche una motivazione economico-politica. La politica economica degli ultimi tempi non ha favorito la permanenza dei giovani al sud. La maggioranza dei giovani, che formiamo nelle comunità, emigrano. Sono pochi i giovani che investono la loro vita nel Mezzogiorno. Quanti restano, nella migliore delle ipotesi, si accontentano di un lavoro che non hanno mai sognato. Altri preferiscono entrare nella categoria dei Neet.
Allora cosa fare per invertire la rotta? Sicuramente percepire il nostro limite. Percepire che il poco di ognuno diventa prezioso con il poco di molti. Si tratta di fare rete: una rete intra ecclesiale (sono tanti ancora i campanilismi) e una rete extra ecclesiale, dato che i giovani sempre di più scelgono altro, e meno Cristo e la Chiesa. In questa rete noi dobbiamo dare il nostro: dobbiamo dare Cristo! Allora torneremo ad essere “attraenti”.
*direttore Servizio diocesano pastorale giovanile