C’è una notizia buona e una notizia cattiva, come nei film. La notizia buona è che la scuola (e l’università) riparte.
La notizia cattiva, o, più esattamente, preoccupata, è che si riparte comunque con molte incognite.
Del resto ci muoviamo a tentoni da mesi. Da un lato, positivo, stiamo convivendo con questa realtà, riuscendo ad adattarci abbastanza velocemente. Dall’altro, più preoccupante, ancora non riusciamo a pianificare quegli investimenti, non solo in termini finanziari, ma culturali e sociali necessari per ripartire davvero.
Per questo allora la scuola, così come l’università, deve ripartire. Perché, in fin dei conti, ci mette alla prova. Almeno da tre punti di vista.
Il primo perché dimostra la necessità di convivere con questo virus, la cui origine e il cui sviluppo restano misteriosi. Convivere significa, molto banalmente e molto semplicemente, adottare, tutti e ciascuno, dei comportamenti prudenti. Che peraltro è una delle quattro virtù cardinali, auriga delle virtù, si diceva in latino, che detta misura e ritmi a tutte le altre. Ma non possono essere prudenti che delle persone consapevoli, di se stesse e del legame sociale. In fondo i comportamenti che ci sono richiesti e che saranno in particolare richiesti a scuola, altro non solo che comportamenti di buona educazione. Ma proprio sulla buona educazione, da decenni, si è pesantemente e colpevolmente dis-investito, quando non irriso: abbiamo tentato addirittura di sostituirla, con esisti disastrosi, con il cosiddetto politicamente corretto. Il Sars-Cov-19 ci impone di ritornare alla prudenza e alle norme più sane e più tradizionali di buona educazione.
Di qui il secondo elemento. Ci vuole qualcuno che controlli. I comportamenti virtuosi richiedono disciplina e non ci sono eccezioni per ricchi e furbi. Basta vedere negli scorsi mesi la quantità di contagi che si è sviluppata nelle liturgie vacanziere. Non controlli di polizia, per carità, ma una azione concorde della comunicazione, dell’opinione pubblica, un senso di coesione che premia la responsabilità. Per non dovere scegliere, come qualcuno sta ipotizzando, tra democrazia e sicurezza.
Il terzo punto ne consegue: se è vero che il cov-19 si combatte anche con l’educazione, oltre che sulla sanità è sulla scuola (e l’università) che bisogna investire. Troppi lo dicono: ma il solo il grande piano sulla scuola redatto in Italia risale al 1958, attuato a brandelli nell’arco di un quinquennio e poi dimenticato. Erano gli anni della ricostruzione e del “miracolo”, che tutti vorrebbero riprodurre.
Esperti ed amministratori pubblici stanno trovando le norme concrete per il nuovo anno. Siano applicate con grande, grande realismo. L’obiettivo è ripartire. Ma non perché la scuola è un parcheggio mentre i genitori lavorano o l’università un parcheggio in attesa di trovare lavoro. Senza una cornice di impegno culturale e di rigoroso investimento strutturale, per tutta la scuola e l’università, cioè un sistema pubblico, con istituzioni statali e non statali, non andremo da nessuna parte, ovvero resteremo indietro.