Un qualificato e coinvolgente contributo alla progettazione del cammino della Chiesa leccese è stato offerto, nel contesto dei vari momenti promossi dall’arcidiocesi in occasione delle manifestazioni per il settantesimo compleanno del presule mons. Michele Seccia, dall’Istituto superiore di scienze religiose metropolitano di Lecce, guidato dal direttore don Tony Bergamo.
Un laboratorio teologico pastorale, svoltosi nella nuova, pregiata ed efficiente sede, sul tema fragilità e speranza, ha analizzato ed approfondito la situazione dell’attuale periodo, caratterizzato da tante sofferenze causate dalla pandemia e dalla volontà di ripartire con nuove prospettive e innovativi percorsi.
All’interno di un orizzonte che, come ha rilevato la moderatrice Anna Maria Fiammata, ha approfondito un focus antropologico ed un focus teologico, nel contesto della prospettiva di Papa Francesco: «la vera speranza cristiana genera sempre storia».
Alla riflessione, sviluppata dall’apprezzato istituto della Facoltà teologica pugliese frequentato da oltre duecento studenti universitari, hanno offerto il loro contributo la prof. Annalisa Caputo, dell’Università degli studi ‘Aldo Moro’ di Bari, il prof. Vito Mignozzi, preside della Facoltà teologica pugliese, il prof. Stefano Spedicato, dell’Issrm leccese.
In questo primo articolo, è interessante rilevare alcune pregnanti idee e considerazioni della prima relatrice Annalisa Caputo, della Facoltà teologica pugliese.
Autrice di vari testi, quali La filosofia e il sacro, la docente di antropologia teologica ha incentrato la sua riflessione sulla storia dell’etimologia del termine fragilità, esaminando il rapporto tra fragilità e speranza in alcuni modelli soprattutto esistenziali ed ha proposto conseguenti riflessioni sulla dimensione pastorale.
Per un’efficace ripartenza ecclesiale, ha sottolineato alcuni elementi problematici da superare, quali la diminuzione della burocrazia e l’elaborazione di progetti generalizzati, proponendo scelte sempre più protese alla di sperimentazione.
Ha preso in considerazione, in particolare, una pastorale che non segue semplicemente il modello dell’adattamento né quello della resilienza, ma un modello ‘antifragile’ che mette insieme le nostre piccole fragilità e sperimenta un modello di speranza.
Ha così indicato un cammino di comunione, sempre più basato sull’attenzione nei confronti dei deboli: «Nella pastorale antifragile si possono realizzare alcune esperienze, perché altrimenti si rischia di lasciare fuori proprio i fragili, per cui occorre chiedersi se nelle nostre comunità parrocchiali al centro ci sono gli antifragili, i forti».
Quindi, una pastorale non semplicemente resiliente, ma nemmeno solo antifragile, ma resistente e forte proprio perché parte dai fragili.
Se, infatti, si accoglie l’intuizione di San Paolo secondo la quale i deboli sono i forti, «mettere al centro i fragili, che già sperimentano forme di resilienza, rende più forte l’intera comunità. Stando vicini alle loro famiglie, aiuta a comprende che sono deboli, ma che la vita non è spezzata e sono in grado di continuare a cercare la luce e ad indicarla dono. E si sperimenta che ciascuno ha bisogno degli altri, del loro amore, per sentirsi forte». Dando così speranza proprio a chi tante volte non ha più ragioni di speranza.