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In ambito rurale era alquanto frequente che il maniscalco fosse anche ferraru, fabbro, e coadiuvasse l’ascularu, il carpentiere che esercitava l’arte crossa, arte grossa, cosiddetta per la preponderante lavorazione di legni grossolani come la ulìa, l’olivo, la lezza, il leccio, lu fau, il faggio, con cui costruiva carri, aratri, mortai, llaturi, lavatoi, mattarelli e, a tempo perso, curruli, trottole, che rivendeva ai mercati o alle fiere paesane.

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In una società dove vigeva il sacrosanto principio del riuso e di riparare un oggetto di estrema utilità fino a quando non si potesse sostituire con uno nuovo, lu cconza limbure (o limbi), lu giusta cofani o cconzapignate, l’acconcia catini, l’aggiusta cofani o pignatte, talvolta semplicemente lucconzalimbi, rappresentava l’artigiano che più di ogni altro le massaie attendevano con fervorosa animosità.

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Milano ha visto in questi giorni, presso la sede di Immaginaria, un’interessantissima mostra di opere inerenti il barocco andino: angeli armati ed icone della Vergine dai tratti inca hanno attraversato l’Atlantico. Ne abbiamo parlato con il curatore, Filippo Alfieri, scoprendo anche un singolare rapporto tra il Perù e la città di Lecce.

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Al suo apparire l’umbrellaru, che si annunciava col grido “ggiusta ombrelle”, aggiusta ombrelli, veniva avvicinato da chi possedeva un parapioggia malconcio per via di qualche strappo alla stoffa, di un manico incastratosi, delle stecche metalliche stortesi in un giorno di pioggia intensa mista a raffiche di vento.

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Tra gli altri ambulanti stagionali si ricorda lu craunaru o cinisaru, termine che designava sia il fabbricante sia il venditore di craune, carbone, e di cenisa, carbonella, tritume di carbone.

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A proposito di antiche tradizioni e della forte devozione alla Madonna delle ciliegie che si festeggia oggi a Lecce, è sorprendente vedere le mani di donne leccesi, che con filo di cotone e tanta pazienza, confezionano migliaia di mazzetti di ciliegie per il giorno della processione della “Matonna te le Cerase”.

 

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