Una piccola firma, difficile da individuare, si mescola alle tessere del mosaico e si rivela solo ad uno sguardo attento. Il Mosaico della lupa è così celebre per i Leccesi quanto poco conosciuto è invece il suo autore.
Il suo nome sarebbe rimasto oscuro se ella non lo avesse illustrato, eseguendo la volontà del marito Bernardino Verardi, che nel testamento rogato in Lecce l’11 dicembre 1679 l’aveva incaricata di istituire nel suo palazzo un conservatorio nel quale potessero rinchiudersi senza professare voti, vestire l’abito claustrale e seguire regola monastica le dame di dieci famiglie aristocratiche di Lecce: Verardi, Paladini, Cicala, Personé, Bozzicorso, Bozzicolonna, Venturi, Prato, Guarini e Scaglione.
A due personaggi del casato dei Larducci, entrambi nativi di Salò, fonti dirette e coeve attribuiscono rilevanti lavori per impegno monumentale ed abile tecnica.
L’unico lavoro, documentato, che si conosce di Michele Coluccio è la chiesa di Santa Maria della Grazia, che egli realizzò in Lecce, città nella quale era stabilita la comunità religiosa dei teatini alla quale apparteneva, l’ultimo decennio del Cinquecento.
Parallela e somigliante con quella di Gabriele Riccardi, o come i leccesi lo chiamavano, Beli Licciardo, fu la vita di Giulio Cesare Penna che nacque in Lecce il 1607.
Delle opere leccesi per le quali è richiamato il nome di Gian Giacomo dell’Acaya (Napoli 1500 - Lecce 1570), il castello urbano con la poligonale cinta muraria, l’ospedale dello Spirito Santo, la ristrutturazione del suo palazzo dominicale convertito in chiesa e convento di Sant’Antonio da Padova, l’arco di trionfo di Carlo V e la Chiesa Nuova, soltanto le prime tre sono lavori che per documenti si sa gli appartengono, mentre le altre due gli sono state attribuite.