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Delle opere leccesi per le quali è richiamato il nome di Gian Giacomo dell’Acaya (Napoli 1500 - Lecce 1570), il castello urbano con la poligonale cinta muraria, l’ospedale dello Spirito Santo, la ristrutturazione del suo palazzo dominicale convertito in chiesa e convento di Sant’Antonio da Padova, l’arco di trionfo di Carlo V e la Chiesa Nuova, soltanto le prime tre sono lavori che per documenti si sa gli appartengono, mentre le altre due gli sono state attribuite.

 

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A distanza di molti decenni, in uno slargo del quartiere leccese denominato “Giravolte” per le sue vie tortuose, in alcuni giorni si sentono suoni come di legni accostati, di ingranaggi non metallici che seguono una cadenza ritmica.

 

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Giuseppe Zimbalo nacque, in Lecce, il 1620 da Sigismondo, il figlio di Francesco Antonio, a quel tempo attivo in importanti imprese di scultura lasciate in Santa Croce (altare di San Francesco di Paola, 1614) ed al Gesù (altare di Sant’Irene, poi della Vergine del Buon Consiglio) e fece i suoi primi passi in opere plastiche che, per conto dei Paladini - uno dei quali, Belisario, lo aveva tenuto a battesimo - lasciò nelle chiese delle Carmelitane Scalze e di Santa Teresa, nella quale ultima si conserva l’autografo sull’altare della santa (Gioseppe Ximalo csopiva).

 

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La cripta è il gioiello nascosto della cattedrale di Lecce; si sviluppa per quasi tutta l’intera superficie della chiesa, anche se buona parte degli ambienti non è stata ancora portata alla luce.

 

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Nato a Lizzanello, alle porte di Lecce, il 9 febbraio 1842 si licenziò in belle lettere e filosofia nel 1858 presso il liceo-convitto di Lecce, allora retto dall’ordine dei Gesuiti.

 

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Ippazio Antonio Bortone (Ruffano 1844 - Lecce 1938) fu molto precoce e furono le sue notevoli capacità ad impedire che seguisse le orme del padre, che era fabbro.

 

 

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